“Lavoro alla luce del sole” – Intervista col ceramista Stefano Zenobi

di Riccardo Serroni –

 Nei periodi di crisi a soffrire di più sono le aziende di più grandi dimensioni, quelle più soggette agli alti e bas­si dei mercati, quelle che devono far fronte a spese no­tevoli sia per il personale che per il mantenimento delle strutture. A reggere la botta con minori difficoltà sono, invece, le aziende piccole perché hanno costi di gestione minori e possono far fronte agli ostacoli con maggio­re flessibilità. Un esempio virtuoso lo abbiamo anche a Gualdo Tadino con le piccole attività a conduzione familiare per la produzione della tradizionale ceramica artistica. Una di queste è il laboratorio artigianale di ce­ramiche artisitiche di Stefano Zenobi, in piazza Beato Angelo, una posizione strategica, vicino all’ingresso del tunnel che conduce all’ascensore per il centro storico:

“Lavoro alla luce del sole, con le vetrate che lasciano vedere all’interno e spesso con la porta aperta. La gente che passa, soprattutto i turisti, spesso si ferma a guar­dare, entra a curiosare per rendersi conto di come lavo­ro, chiede informazioni, qualche volta acquista qualche oggetto”. Insomma, c’è attenzione per una delle carat­teristiche peculiari contenuta nel Dna dell’economia artigianale gualdese.

Di Stefano Zenobi mi aveva incuriosito un post su Fa­cebook di qualche tempo fa in cui sostanzialmente rin ­graziava la tanto bistratta ceramica perché gli aveva consentito di mantenere la sua famiglia in maniera di­gnitosa. Che è poi l’obiettivo di qualsiasi lavoro.

La vocazione per la ceramica in Zenobi si è manifestata in età adulta, anche se, avendo sua madre lavorato in una fabbrica di ceramica, una certa atmosfera in casa l’aveva respirata da sempre:

“Terminato il Liceo Scientifico non avevo le idee chia­re su cosa fare da grande- racconta- Avevo un debole desiderio di frequentare l’Accademia delle Belle arti perché una certa passione per il disegno ce l’ho sempre avuta. Ma non è che avessi tanta voglia di studiare. Così ho seguito il consiglio di una mia professoressa che aveva notato questa mia predisposizione ed ho de­ciso di frequentare il laboratorio di Dante—- per un anno e mezzo. Da lì sono partito per la mia strada”.

In un certo senso, quindi, Zenobi, non avendo frequen­tato corsi specifici, è un autodidatta.

“Mi è stata molto utile anche la vicinanza di Angelo Carini, uno dei più bravi pittori che abbiamo avuto e che è meglio conosciuto come Cinquantuno. Quando nel 1995 ho aperto la mia attività in corso Piave ha frequentato spesso il mio laboratorio e mi ha dato molte indicazioni delle quali ho fatto tesoro. Poi c’è stato il contributo determinante di mia madre per la gestione dei vari passaggi che conducono al prodotto finito ”.

Il trasferimento in piazza Beato Angelo è avvenuto due anni dopo, in occasione del terremoto. Il locale era diventato inagibile e Stefano ha deciso di trasferirsi in quella che è di­ventata la sede definitiva della sua attività artigianale. Non è uno spazio molto grande ma c’è tutto ciò che gli serve, dal forno al magazzino, alla vetrinetta espositiva. Non ha mai pensato di allargarsi, trasferirsi in uno spazio più ampio, aumentare la produzione magari con qualche dipendente?

“No- dice- Non ci ho mai pensato. Ritengo che per l’arti­gianato artistico questa sia la dimensione più idonea. Non ci sono i grandi numeri. Bisogna privilegiare la qualità sulla quantità”.

Zenobi è molto soddisfatto del lavoro che fa: “Certo, non c’è molto spazio per il tempo libero. Spesso, per far fronte agli impegni, devo lavorare il sabato e la domenica, ma c’è gratificazione”.

Qual è stata la tua più grande soddisfazione? “Una medaglia d’oro in un concorso a San Lorenzello in provincia di Be­nevento nel 1999. La rassegna si chiamava Regioni d’Italia. Poi anche la realizzazione nel 2004 del pannello con la bat­taglia di Tagina per la porta del morto in via Storelli è stata molto gratificante. E ne sono particolarmente soddisfatto anche perché, a distanza di 13 anni, pur essendo esposto alle intemperie, il pannello non ha subito danneggiamenti”

La sua produzione è incanalata sulla direttrice della tradi­zione ceramica gualdese con il decoro “a riflesso” e non intende deviare: “Credo in questo tipo di ceramica che in­carna la nostra tradizione. Quando partecipiamo a qualche mostra mercato la ceramica artistica di Gualdo è facilmente identificabile e se qualcuno è più esperto riesce persino ad identificare l’autore del pezzo esposto”.

La sua è una clientela “nostrana”, per così dire. La quantità di pezzi che produce e cuoce con il suo forno non è compa­tibile con i grandi numeri che richiederebbe, ad esempio, un mercato estero:

“La mia clientela è in parte gualdese ma ormai sono abba­stanza conosciuto anche fuori di Gualdo ed i miei clienti provengono da diverse parti d’Italia”.

Mai tentato dalla vendita on line? “No. Per il mio prodotto non credo che sia efficace. Un vaso o un piatto non puoi am­mirarlo come merita tramite una fotografia. Lo devi vedere dal vivo, magari toccare, per apprezzarlo come merita”.

Si parla spesso di sostenere la ceramica gualdese con ini­ziative promozionali adeguate. C’è un suggerimento che ti sentiresti di fare? “Credo che l’intensa attività promozio­nale della città attraverso le mostre organizzate dal Polo Museale serva molto. Si vede parecchia più gente transitare e quindi ne beneficiamo anche noi artigiani. Poi ho ritenuto molto utile anche il rilancio del Concorso Internazionale della Ceramica perché rappresenta un modo efficace per promuovere nel mondo l’immagine di Gualdo come città della ceramica”.

“Facemo la ceramica a riflesso, un giorno si lavora e 5 a spasso” recitava una vecchia canzone popolare gualdese. La crisi che ha attraversato e sta ancora martoriando il nostro territorio sembra averci risospinto indietro nel tempo quan­do il settore che più proliferava era quello dell’emigrazio­ne. Ma i bravi artigiani come Stefano Zenobi sono la dimo­strazione vivente che le armi per contrastare le difficoltà attuali ci sono. Ma bisogna pensare anche al futuro, a come far avvicinare alla ceramica le nuove generazioni. Perché se non si creano le condizioni per assicurare il ricam­bio generazionale, questo settore rischia di scomparire. E l’unica strada percorribile, al giorno d’oggi, è quella della formazione.

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