Un ricordo di tuo padre…
È legato all’arte. Mi ha sempre spronato a fare ragioneria, economia e commercio e, invece, dopo finiti gli anni peggiori della mia vita, dopo aver visto i quadri che facevo era tutto contento e mi invitava anche a fare le mostre. Mi faceva anche delle critiche sottile. Alla fine, era contento anche se non avevo fatto quello che lui pensava che fosse il mio meglio
La vocazione artistica?
Era più la mamma che mi spronava. Zio Domenico Giovagnoli, che disegnava le mattonelle alla Tagina, mi ha ispirato. Ma la mamma era quella che mi spronava a fare scuole più creative. Già dalle elementari, disegnavo abbastanza bene, già nei semplici pastelli. Poi ho dipinto con Nedo Frillici e ho tante ceramiche in garage. Poi ho fatto un minicorso, con Alessandro Malvezzi, all’oratorio Don Bosco e da lì mi si è aperto il mondo della pittura ad olio e da lì è stata una grande scoperta.
Ho avuto, negli anni Novanta, una formazione da stilista e da disegnatrice di tessuti. Ho fatto un corso a Como – incoraggiata da mia madre – ma poi non l’ho trasformata in un mestiere perché non sono voluta restare a Como, dove mi avrebbero assunto. Però, lì si era all’avanguardia con i sistemi informatici per disegnare i tessuti. Qui no.
Autodidatta…
In Gran parte sì. La pittura richiede allenamento e, quindi, mi sono affinata da sola, attraverso la pratica. È quasi un anno che sto facendo dipinti ad olio per persone che me li commissionano e sono contenta perché non solo guadagno, un po’, ma anche perché sono obbligata a lavorare e sento che questo mi rende via via migliore.
Quali soggetti prediligi, di solito?
Prediligo i ritratti, assolutamente. Di solito mi ispiro da foto. Poi soggetti floreali, animali. I paesaggi, che pure si venderebbero meglio, non mi piacciono e visto che dipingo per me, non lo faccio.
Che sensazioni provi quando dipingi?
Per me dipingere è una terapia: quando ho momenti bui, dipingo e mi passa tutto. È meglio di un antidepressivo o di un ansiolitico. È una vera e propria panacea contro ogni male dell’anima.
Il quadro che ti è più piaciuto realizzare…
Sono sempre gli ultimi, a dire il vero, forse perché sento che, piano piano, sto migliorando. Mi piacciono il ritratto di un gatto, il ritratto di un bambino con cane, oppure un soffione grande. Mi piace molto una foglia che ho dipinto per una mostra a Gubbio: una cosa semplice, pulita, essenziale. Per ora ho sempre dipinto con uno stile iperrealista, anche perché obbligata dai committenti che vogliono vedersi nel dipinto, ma vorrei fare degli esperimenti, che ho già elaborato, con degli stili diversi…
Pensi anche tu, insomma, che l’iperrealismo non sia una vera forma d’arte, dunque?
Prendiamo Ventrone: la tecnica c’è e ce n’è molta, i quadri sono veri ma non mi hanno trasmesso sentimenti, forse perché sono troppo perfetti. È una questione di sensazioni: se un quadro ti dà sensazioni, allora è arte, di qualunque tipo sia. Se non le dà, non è arte. Per ora, il mio stile è stato quello, ma non mi soddisfa pienamente: forse, prima o poi, riuscirò a maturare una competenza tecnica tale che mi permetta di elaborare un mio stile del tutto personale. Però, la tecnica ci dev’essere. In ogni caso, il mio stile sarà semplice ed essenziale, perché questo rispecchia il mio essere e le mie idee. Non cose troppo complicate, ma essenziali.
Progetti futuri
Ho già esposto delle opere a Fabriano, Gubbio, Spello e a Urbino. Il primo progetto è proprio quello di fare una personale, quando avrò materiale sufficiente da esporre.
Attualmente lavoro in una ditta che produce filati e vende abbigliamento in cashmere per conto terzi a Bastia Umbra. In qualche modo è un’attività creativa connessa con la mia passione, anche se non vedo molti sbocchi in quest’attività.
Ma chi volesse commissionarti un’opera, ad esempio un ritratto, come ti potrebbe contattare?
Su Facebook, Instagram, oppure inviando una mail all’indirizzo: galleria.giovagnoli@gmail.com.
