Le prime esperienze di giornalismo a Gualdo Tadino: Precursori e antesignani del più bel mestiere del mondo

di Valerio Anderlini –

Sono stati recentemente ce­lebrati i 150 anni dell’Unità del paese, anni che sono stati segnati da autentici stravolgi­menti del costume anche nel­la mostra Comunità, passata dalla miseria generalizzata ad uno stato di benessere sia pur con sacche di ingiustizie sociali, da una società di il­letterati di massa ad un mo­derno massiccio utilizzo di sofisticate tecnologie di co­municazione, con fenomeni migratori e trasformazioni economiche che hanno stra­volto l’entità gualdese con una evoluzione del costume e delle condizioni di vita che oggi appaiono inimmagina­bili. La quotidianità di que­sti progressivi accadimenti è possibile riviverla attraverso l’opera dei cronisti che ne sono stati testimoni, dai pri­mi corrispondenti di testate regionali, ai primi mezzi di informazione locale, “numeri unici” e periodici, dei quali il Nuovo Serrasanta è solo il più recente.

Dei tempi in cui gran parte degli atti notarili venivano siglati con apposizione di un segno di croce, indice di scar­sa alfabetizzazione (e quindi di non lettura) si conservano nelle emeroteche testimo­nianze di un giornalismo (Unione liberale, Alta Um­bria, La Provincia dell’Um­bria, Il giornale dell’Um­bria) essenzialmente incline alle celebrazioni di rito della belle époque e dei pochi per­sonaggi che ne costituivano l’élite; le prime manifestazio­ni di giornalismo impegnato si avranno solo nei primi anni del 900, in particolare con le collaborazioni di Emi­lio Banterle, Giulio Guerrie­ri, Filippo Natali, ma la pri­ma espressione di un giornale locale si avrà soltanto nel 1912 con l’uscita de Il Ri­sveglio, un foglio a stampa, di cui era direttore e Ammi­nistratore Angelo Lucarelli, feroce oppositore dell’Am­ministrazione Comunale in carica guidata da un sindaco di importazione, l’ingegner Stangolini, che il giornale definiva espressione dei “de­mocratici dell’affarismo”. Era un giornale di battaglia, spedito in abbonamento po­stale in Italia ed agli emigrati all’estero (costo rispettiva­mente £.2,50 e £.4 annue) che si proponeva come “novello vangelo del proletariato”, di cui “oltre ad un piccolo nu­cleo più o meno permanente sono redattori tutti gli onesti del Comune”, e del quale era anima come caporedattore la brillante intelligenza dell’in­segnante Romano Maurizi, dai toni di autentico trasci­natore; il giornale, diventato poi quindicinale, dopo un anno festeggiava la caduta dell’Amministrazione Co­munale, addirittura con una seconda edizione del numero in cui riportava in dettaglio la notizia.

Poi sarebbero venuti gli anni della prima guerra mondiale, in cui l’impegno giornalistico dové far posto ad altri ben più onerose vicende, quelli del dopoguerra e del trionfo del fascismo, anni in cui i cultori della penna si cimenteranno nella collaborazione a “La voce del collegio”, edito dal 1923 al 1938, dal centro di cultura che era allora costitui­to dall’Istituto Salesiano, o in numeri unici pubblicati dalla “Biblioteca Capitolare” fin­ché, nel 1934, per iniziativa del NUF (Nucleo Universi­tario Fascista) videro la luce “N’è quistione”, “Mel disse­ro”, “Mel diedero”, pagine sostanzialmente anonime, ripiene di amenità paesane intrise di infatuazione ideolo­gica, cui seguì la nuova testa­ta “Fiori di giovinezza”, edito dal Dopolavoro Comunale il 21 maggio 1936 (186° giorno dell’assedio economico – 12° giorno dell’Impero) in occa­sione del raduno del Dopola­voro Provinciale sui prati del­la montagna gualdese; ancora pagine letteralmente anonime dedicate all’attualità politica (la prima) ed alle amenità pa­esane (quelle interne).

Con l’entrata in guerra dell’I­talia ci fu un salto di qualità: il NUF iniziò la pubblicazio­ne de “La freccia”, non più numeri unici, ma un perio­dico mensile (Direttore re­sponsabile Angelo Pascucci), che si immaginava destinato a durare nel tempo (abbona­menti £. 20, militari £.10), dai temi spiccatamente pro­pagandistici, con largo spa­zio alle lettere dei militari al fronte che “in armi vigilano sulle fortune della Patria”; intere pagine di propaganda letteralmente all’insegna del­la “disinformazione”: si con­sideri che il 29 giugno 1943 (data del giornale di cui a lato è riprodotta la testata), mentre gli eserciti alleati avevano già occupato Pantelleria, primo attacco al territorio naziona­le, il giornale titola ancora di “sicura vittoria”; forse l’ulti­ma uscita del giornale, non sappiamo se La Freccia sia uscito anche il mese succes­sivo dopo i fatti del 25 luglio.

Con la fine delle ostilità e il ritorno della libertà, di pen­sare e di scrivere alla vigilia del referendum del 2 giugno 1946 vide la luce “Il pepe” (Direttore Francesco Maria Guerra), un giornale edito dalla Sezione della Democra­zia Cristiana, impegnato nei problemi politici del momen­to, ma anche in dure polemi­che con le sinistre, per certe manifestazioni di intolleran­za registrate nella campagna elettorale; fu la prima tribuna di una firma destinata a salire l’empireo dell’informazione, il 17-enne Gianni Pasqua­relli. Uscito di scena il Pepe con le elezioni, gli amanti del­la carta stampata tornarono alla ribalta il 20 giugno 1946 con “Lo spensierato”, edito da ”La spensierata”, quattro pagine in cui le firme abbon­davano (Villa Enrico, Alfonsi Armando, Angeli Francesco, Pascucci Giovanni, Pericoli Giovanni, Sabatini Spartaco), un giornale privo di contenu­ti, con ampi spazi a forme poetiche e dialettali, ispirate al momento di euforia per la libertà ritrovata; anche se il giornale si chiudeva con l’appello “diffondete il vostro giornale” non si ritiene che abbia avuto un seguito, anche perché nella testata riportava “riservato ai soci”.

Seguì un decennio caratte­rizzato dalle corrispondenze a testate nazionali, Fernando Montanari (Il Tempo), Pie­ro Frillici (Il Messaggero), Francesco Angeli (La Nazio­ne), ma con assenza di testate locali, tranne alcuni numeri unici, per circostanze partico­lari, finché nel 1956 presso la Pro Tadino, sotto la Presiden­za di Piero Frillici e con l’in­gresso in Consiglio di Angelo Barberini, maturò il disegno di dar vita ad un giornale, su­perando la fase dei “numeri unici” de “Il Serrasanta” la cui ultima uscita, firmata da Piero Frillici, il 1 settembre 1957 riportava tre notizie: il riconoscimento della città come stazione climatica e di interesse turistico, la costi­tuzione di un Circolo della stampa e la nascita del pe­riodico “Il Serrasanta, che si prefigge di valorizzare le arti, il costume ed il turismo di Gualdo Tadino”; il 26 febbraio 1958, Angelo Bar­berini in veste di Direttore Responsabile, registrò pres­so il Tribunale di Perugia la testata del mensile “Il Ser­rasanta”, giornale di otto pagine sul quale i temi della gualdesità erano trattati dal­le firme di Giancarlo Fran­chi, Umberto Donati, Enzo Storelli, Romano Maurizi, Glorianda Pinacoli e Gabrie­le Tavennesi: fu una breve esperienza, migrando dalla Tipografia Economica di Fa­briano e la Tipografia Guerra di Perugia dove, per i sistemi di stampa di allora, i redatto­ri trascorrevano le giornate necessarie all’impaginazione e alla stampa mangiando un panino. Agli inizi degli anni 70, caratterizzati da una cer­ta vivacità culturale (dieci anni di Liceo avevano dato i primi frutti) con la nasci­ta di un Gruppo Giovanile Gualdese vide la luce “Ta­gina”, un giornale ciclosti­lato autentico laboratorio giornalistico aperto a tutti senza un Direttore, che era “lavorato” al piano superio­re del Palazzetto in via Ca­lai 39, sede della Pro Tadi­no, un autentico laboratorio in cui si formarono al gior­nalismo una generazione di futuri pubblicisti, durato per un biennio, che registrò ben presto la concorrenza de “L’asino” (Direttore re­sponsabile Carletto Fioruc­ci), altro ciclostilato edito dalla “Comunità culturale Giovanile Impegno socia­le”, ma le due esperienze si esaurirono ben presto per questioni politiche. Infine, nel settembre 1987, la Pro Tadino decise di ridare alle stampe un giornale proprio e nacque “L’Eco del Ser­rasanta”, che lo scrivente come Direttore responsabi­le registrò presso il Tribuna­le il 21. 12. 1987, un giorna­le così atteso per cui le mille copie del primo numero an­darono a ruba, anche se non mancarono i dileggiatori che lo definirono “giornalu­colo” o “carta per incartare il pesce”; ma il giornale, aperto alla collaborazione di tutti sarebbe restato sulla breccia per 18 anni, finché nel 2005 la politica decise che “dava fastidio” e, ciò nonostante, dopo un anno nacque a grande richiesta Il Nuovo Serrasanta.

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