di Antonio Pieretti –
C on l’approvazione dei due rami del Parlamento, si è insediato il nuovo governo guidato da Mario Draghi. Si tratta di una buona notizia, perché vuol dire che abbiamo evitato le inutili e dispendiose elezioni che qualcuno sconsideratamente aveva auspicato e abbiamo chiuso l’indegno spettacolo della ricerca disperata di “responsabili” disposti a sostenere un governo raccogliticcio, caotico e debole. Lo stesso, forse, non si può dire a proposito della squadra che affiancherà Draghi: non è certo, infatti, che sia costituita dai “migliori”, come qualcuno si è sbracciato pomposamente a sostenere, dal momento che ne fanno parte politici che, in precedenti governi, non hanno affatto brillato per competenza e capacità. Si potrebbe quasi sospettare che i partiti, dopo lo smacco che hanno subito con l’incarico a Draghi, abbiano voluto rifarsi fornendogli collaboratori tutt’altro che rassicuranti. Occorre inoltre aggiungere che le forze politiche che sostengono il nuovo governo sono troppo diverse tra loro dal punto di vista ideologico per non immaginare che sarà problematico trovare l’unità e la coesione. Comunque, c’è da sperare che la gravità del momento porti l’esecutivo a concentrarsi sui temi non divisivi e lo obblighi a svolgere il programma che si è prefissato. Dovrà far fronte infatti, come Draghi ha ricordato negli interventi al Senato e alla Camera, in via prioritaria alla grave pandemia provocata dal coronavirus, alla crisi economica e a quella sociale. Pertanto, l’agenda del governo, a grandi linee, è tracciata. E’ indubbio però che, a tale scopo, non basterà rimettersi al Recovery fund perché, sebbene richieda grandi riforme (come quella della giustizia, del fisco, della pubblica amministrazione e l’introduzione di più severe ed efficaci procedure di anticorruzione), tuttavia è un supporto e uno stimolo in alcuni settori soltanto della vita pubblica. Occorre, pertanto, una visione chiara e precisa del Paese che vogliamo essere e del ruolo che intendiamo svolgere nello scenario mondiale. Ci dobbiamo chiedere, cioè, che Italia vogliamo preparare per le future generazioni. Per rispondere a questa domanda, occorre un’analisi della situazione attuale, in modo da individuare le arretratezze da superare e le risorse da valorizzare. Solo così potremo stabilire quale sanità, quale modello sociale, quale istruzione, quale pubblica amministrazione, quale tessuto imprenditoriale, quali infrastrutture, ecc., possono garantirci quel rinnovamento radicale che ormai è improcrastinabile se vogliamo uscire dalla stagnazione in cui siamo precipitati.
