di Marcello Paci –
Ricordiamo che in noi è presente un cervello antico comune con i vertebrati, annidato nella formazione reticolare mesencefalica, nell’ipotalamo,nei nuclei della base. Consente comportamenti stereotipati frutto di apprendimenti ancestrali, come la caccia, la sete, l’aggressività. E’ esemplificato dal comportamento delle tartarughe marine che ogni anno tornano nello stesso luogo a deporre le uova. Al di sopra l’evoluzione ha posto una calotta che abbiamo in comune con i mammiferi che ha a che fare con l’olfatto da cui il termine rinencefalo, che più opportunamente è stato poi mutato in sistema limbico, essendo coinvolto in funzioni più complesse, come risposte emozionali, e la memoria. Questi territori filogeneticamente più antichi sono quelli da cui provengono le pulsioni profonde, irrazionali , e su questi territori il neoencefalo che li ricopre esercita la sua funzione di dominio e regolazione. E’ un processo nel quale si esprime e conquista la libertà vera, frutto della lotta per la virtù. Nella corteccia corticale è la sede dei processi razionali nei quali essa si esprime e da cui matura la sua struttura, ma è anche la sede dell’immaginazione e della fantasia: nell’insieme, della nobiltà dell’uomo. Questi determinanti neurologici del comportamento umano contrappongono l’anima vegetativa, come la chiamava Aristotele, al mondo corticale delle idee. Ed è lotta dura perché le pulsioni profonde reclamano il loro diritto di esistere, di manifestarsi, ma trovano il cancello della neo-cortex, che filtra, reprime, cancella. Infine,soprattutto, tutela il suo spazio che vuole sempre maggiore, per le idee, l’immaginazione, la creatività. In questo processo di lotta continua è la vera libertà, difficile e ardua ma che ha fatto il progresso della specie e quello di ogni individuo. E questo processo di lotta e di conquista di una vera libertà è quello che rende l’uomo, un essere virtuoso, che esprime nella sua vita e nel suo lavoro, per noi la chirurgia, il frutto dell’evoluzione dall’uomo primitivo all’uomo della modernità. Un percorso lungo e tortuoso che se da un lato ha lo stigma della ragione, dall’altro ha in sé qualcosa di oltre, non definibile, che ha percorso i territori del divino, ed ancora oggi, se pur inconfessati. Ed è forse per questo, per il mistero dell’uomo che ha in sé qualcosa di divino, che gli antichi medici e chirurghi avevano rispetto del corpo dell’uomo ed erano proibite le dissezioni cadaveriche o i medicamenti nocivi. Si, che già nel codice di Hammurabi si comminavano pene severe per i chirurghi che procuravano danni al malato. E quando il Dio trascendente sembrò essere meno incombente, l’uomo rinascimentale cominciò a guardare in se stesso e a camminare sulle sue gambe, si confrontò senza o con meno ipoteca divina con la morale e l’etica, già raccolti nella nostra e in tutte le altre Bibbie. Cominciò a cercarli dentro di sé e nacque un’etica che fu meno religiosa e divenne progressivamente più umana, oggi diremmo laica. Come in Kant , Spinoza, Vico e gli altri. Una naturale attenzione agli altri può confliggere con altre pulsioni non altrettanto nobili ecco perché occorre l’educazione non solo tecnica o di sapere scientifico perché il professionista possa svolgere la sua opera, guardando l’uomo dinanzi a lui, nella sua interezza di corpo malato ed anima o psiche o mente come la si voglia chiamare. Relazionarsi in profondità perché la medicina e di più la chirurgia non siano una cosa fredda, impersonale, fatta di strumenti chirurgici, tecnologia avanzata di radiazioni ionizzanti , ultrasuoni , positroni, radiofrequenze, fibre ottiche, robotica. Per qualche arcana via l’anima influenza il corpo e il corpo guarisce insieme all’anima o si ammala con essa, ecco perché la medicina orientale predica l’unione tra le due cose, si rivolge allo squilibrio tra Inn e Yan per venire a capo del morbo. Il mondo non completamento esplorato delle endorfine sta lì a spiegare l’efficacia di metodiche vetuste come l’agopuntura nel controllo del dolore e non solo. La modernità si caratterizza in Medicina anche per un impoverimento della comunicazione profonda che non è la pratica del consenso informato o il ricorso alla medicina legale, o la falsa cortesia del professionista nell’attività privata pagante. No, occorre che accanto alla scienza di numeri, immagini, e parole ci sia l’insegnamento del rapporto con l’altro, l’attenzione alla sua sfera emozionale. Non va bene nemmeno affidare il compito allo psicologo di turno, emblema della parcellizzazione dei saperi. Occorre ricondurre all’unità, in questo caso alla figura del chirurgo tutta la complessità dei pensieri ed emozioni della persona malata. Il viaggio che si intraprende nelle patologie gravi è lungo, il riferimento fondamentale è uno non può essere molteplice. Questo è un danno della modernità,esso rimanda alla intuizione del pensiero medioevale dell’unità.
