Ambra Donnini, una donna sul palchetto dei tiratori…

di Luca Fazi –

Forse non tutti i giovanissimi portaioli sanno che fino a qualche anno fa il mondo dei Giochi de le Porte consentiva alle donne di figurare tra gli sbandieratori, tamburini e persino giocolieri. Tanti i volti femminili che in questi ruoli si sono contraddistinti, resi immortali dagli scatti fotografici e dai ricordi che ognuno conserva nella propria memoria, ma uno su tutti è destinato a rimanere indelebile per la magnifica rievocazione storica: quello di Ambra Donnini.

Già, nel settembre del ’96 fu la prima ed unica donna a salire i famosi scalini del palchetto, come fromboliere per San Martino.

Cara Ambra, come ti sei avvicinata alla fionda?

“Diciamo che non poteva andare diversamente, dato che all’inizio dei Giochi de le Porte i tiratori di San Martino si allenavano a casa mia, nel prato intorno. Sono letteralmente cresciuta con loro e invece di prendere la bicicletta per andare in giro, mi dilettavo nel lanciare biglie e colpire piatti. Non saprei dirti l’anno preciso del mio “battesimo” giallorosso perché l’inserimento è stato un qualcosa di automatico; conservo diverse foto delle sfilate passate e in alcune avevo appena sei anni, quindi la porta è stata una seconda famiglia.

Gli allenamenti non erano così professionali come oggi, piuttosto contava ritrovarsi, solitamente nel weekend, condividendo in amicizia la stessa passione per la fionda”.

Anno dopo anno ti sei distinta nel gruppo, tenendo testa ai migliori: quanto è stato difficile?

“Sicuramente non sono stata agevolata in quanto donna e nessuno mi ha regalato niente. Andai vicinissima dal tirare nel ’95, avendo vinto le selezioni interne di un gruppo ben assortito per quantità e qualità… ma poi fu una delusione. Mi dissero che essendo la prima volta sul palchetto non sarei stata preparata a fronteggiare l’ambiente e il tifo contro, così scelsero Sergio Sabbatini. Sono salita con lui per passargli le biglie e ricordo che, come prima cosa, mi fermai qualche secondo al centro del palco per captare ed assaporare le varie emozioni che si provano. Mi chiedevo se sarei stata in grado di reggere la pressione e in quegli attimi compresi che avrei potuto farcela”.

Emozioni che poi sono arrivate l’anno successivo: in quanti si sono sorpresi nel vederti tirare?

“Non quelli del mio gruppo, visto che per un interno anno avevano potuto constatare i risultati degli allenamenti e fino all’ultimo mi hanno supportata. Invece le persone al di fuori ci domandavano chi avrebbe tirato l’indomani e appena sentivano il mio nome prontamente rispondevano increduli:

“No dai, seriamente!”.

Diciamo che questo non aumentava l’autostima ma è comprensibile. In quel preciso anno poi, ad onor del vero, fu Sabbatini a vincere le selezioni, quindi era nell’aria che avrebbe tirato di nuovo, pur tenendogli testa nei punteggi. Invece, anche per compensare quanto accaduto l’anno precedente, sia lui che i responsabili furono concordi nello scegliermi”.

Cosa hai provato quando hai fatto quegli scalini?

“In tutta sincerità, quando arrivi a quel punto, quasi non senti più nulla… almeno questo è stato per me. I problemi semmai si presentano prima.

Il sabato sera sono andata a letto prestissimo, senza godermi l’atmosfera dei Giochi e senza chiudere occhio. Non è solo una questione individuale, e quindi la paura di far delle figuracce, ma soprattutto la responsabilità che senti nei confronti del gruppo e della tua porta. Una volta salita sono riuscita ad isolarmi abbastanza bene. Ero molto concentrata e non mi filtrava la confusione della piazza”.

Come andò in quel 29 settembre 1996?

“Ho iniziato colpendo i primi tre bersagli e fallendo di un niente i restanti due. Purtroppo il quarto tiro è stato sempre problematico per me, anche nelle prove. In aggiunta ricordo che dopo la terza biglia iniziai a sentire un po’ di più il rumore della gente e questo solitamente non è mai un buon segnale.

Essendo mancina, tiravo con il viso rivolto verso le tribune ed ho ancora nitida l’immagine di mia sorella, vestita da popolana, che piangeva a dirotto mentre effettuavo la serie. Era più emozionata lei di me.

Quando scesi dal palchetto avevo l’amarezza addosso per il risultato che non premiava assolutamente il mio livello né tantomeno il percorso fatto fino a quel momento. C’era stato prima di me il cinque su cinque di San Benedetto e le sensazioni non potevano essere positive”.

In realtà poi non andò malissimo, o sbaglio?

“Di certo non come avrei voluto, ma alla fine strappai un terzo posto ottenuto allo spareggio con Marco Brunetti di San Donato, non uno qualunque. Mi ricordo che quando ci incontrammo alla sera era deluso e non mi salutò molto volentieri (lo dice ridendo, ndr) ma abbiamo un bellissimo rapporto. È una gran bella persona”.

A proposito di frombolieri, prima hai citato Sabbatini: cosa ne pensi di lui?

“Gli voglio un bene dell’anima. Sergio per me è stato una spalla, la mia calma, la mia ispirazione… un vero esempio. Un personaggio fondamentale non solo per quanto mi riguarda ma per l’intera porta, grazie al suo modo di comunicare con tranquillità e alle esperienze che ha maturato negli anni. Non ti mette mai a disagio… senza dubbio una bellissima persona. Quando arriva l’ultimo weekend di settembre ci rivediamo sempre ed è un enorme piacere”.

È stato difficile rinunciare alla fionda?

“Assolutamente sì! Gli impegni universitari prima e lavorativi poi non mi avrebbero lasciato molto tempo ma l’esclusione delle donne dai giocolieri, e non solo, l’ho digerita male… quasi come se fosse stata una ripicca. Le amazzoni esistevano pure nel periodo medievale e in ogni caso la considero un’occasione persa; è giusto che le bambine crescano con la speranza che un giorno potranno impugnare una fionda o tendere un arco.

Non amo molto le distinzioni per sesso e anche al lavoro combatto nel quotidiano affinché non ci siano. Sono stata un anno in Nigeria, in un campo dove se uscivi ti sparavano, ed ero l’unica donna, ma l’ho fatto anche per dare un segnale forte e dimostrare che le donne possono farlo”.

Rispetto agli anni passati, cosa è rimasto dei “tuoi” Giochi?

“Direi gli sguardi dei protagonisti che attendono i tre giorni con entusiasmo. Sono sguardi vivi di passione, pronti a farsi travolgere dalle emozioni… sia che siano dettate dalla vittoria o dalla sconfitta. E poi quelli dei più piccoli. Quando si raccomandano al somaro affinché faccia il suo dovere o esultano per un piatto colpito, lì capisci che la magia ricomincia.

Ti confesso che al passare della sfilata mi commuovo tutte le volte perché conosco il sacrificio e il lavoro che c’è dietro. Poi quando vedo i giocolieri di San Martino piango ancora di più. La gente mi prenderà per matta ma ho i brividi solo a parlarne”.

E cosa è cambiato?

“Tanto, forse troppo. Mi piacerebbe che Gualdo, oltre ai Giochi, creasse molto altro. C’è una calendarizzazione degli eventi fin troppo carica e non credo sia sempre un bene. La festa senza dubbio è cresciuta e comprendo la necessità di ottenere introiti maggiori, anche per sostenere le diverse spese nell’ambito della sicurezza, ma rimpiango un po’ la semplicità del passato… quella sana e genuina leggerezza. Non che prima non si guardasse al proprio interesse, ma il tutto si presentava in maniera molto più soft.

Oggi vedo più “team”, delle vere squadre che curano i minimi dettagli, e magari meno amicizie sincere. Ogni settore, all’interno della stessa porta, ha la propria felpa o maglia personalizzata; nascono ugualmente dei rapporti forti e si può avvertire il senso del gruppo, però si è trasformato in un qualcosa di più esclusivo. Un esempio? Da diverso tempo le porte organizzano delle giornate ad hoc per avvicinare i giovanissimi all’ambiente dei Giochi. In passato, invece, tutto l’anno era ad hoc per far divertire ed appassionare un ragazzino. Già un bambino che passeggiava lungo le stalle insieme ai propri genitori era invogliato a fermarsi per provare qualche tiro. Ora è più complesso perché, specialmente a ridosso di settembre, devono allenarsi i grandi e quindi dai un po’ fastidio”.

Dei Giochi, hai un momento in particolare che ti rimarrà sempre nel cuore?

“Oddio, nominarne solo uno mi resta complicato… perciò ti dico i primi due che mi sono venuti in mente. Il primo riguarda mio zio, Nazzario Pellegrini, uno dei primi responsabili dei giocolieri di San Martino. Di lui mi colpiva l’attaccamento al gruppo e la voglia di tenere tutti uniti a prescindere dal risultato. La domenica sera dei Giochi, con la vittoria o senza, offriva la cena ad ognuno dei suoi ragazzi… per lui l’affiatamento andava oltre il Palio. Inoltre la mia prima fionda fu un suo regalo e mi ha dato lo stimolo per cominciare.

Il secondo momento riguarda piuttosto un profumo, ossia quello del pane appena sfornato da mia madre ogni sabato pomeriggio. Lo preparava e così si faceva merenda con tutti gli altri tiratori. Erano momenti che porto e porterò sempre nel cuore”.

Hai mantenuto contatti con il gruppo?

“Non molto tempo fa abbiamo fatto una rimpatriata, organizzando un torneo proprio nel prato intorno a casa, come ai vecchi tempi. Negli ultimi periodi sono stata un po’ meno presente perché comunque abito ad Acqualagna, lavoro a Fano e mi sposto molto per lavoro. Ciò non ostacola però la mia presenza nei tre giorni dei Giochi; non esistono figli e marito ma solo la mia porta. Giusto il tempo di indossare il fazzolettone giallorosso e sono pronta per attendere l’ingresso dei giocolieri… ovviamente con gli occhi lucidi”.

Nelle foto – Ambra Donnini nei Giochi del 1996; Ambra con i giocolieri di Porta San Martino e con i giocolieri di San Martino in un torneo interno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto