Francesco Calai Marioni: un gualdese in Arcadia

di Giovanni Storelli –

In occasione del centenario della morte di Roberto Calai Marioni, che sarà opportunamente commemorato con le importanti ini­ziative del 16 e 17 ottobre prossimi, voglio qui offrire la ricostru­zione di alcuni momenti della biografia di Francesco Calai Marioni (1773-1853), nonno paterno del prelato e benefattore gualdese.

La sua storia di nobile, possidente terriero, politico e uomo di cul­tura è ben nota agli studiosi, grazie ai contributi di Carlo Cancellot­ti, Marcello Fruttini, Daniele Amoni, e del sottoscritto.

Calai visse gli ultimi anni del Settecento a Roma (dove, ipotizzo, poteva essere giunto grazie all’aiuto dell’influente prelato gual­dese Giuseppe Liberato Coppari, segretario di Pio VI), svolgendo le mansioni di segretario della famiglia Odescalchi, una delle più importanti dell’aristocrazia pontificia, ma legata anche all’impero asburgico. Capofamiglia era allora il duca Baldassarre, fondatore dell’Accademia letteraria degli Occulti e vicino ad ambienti pro­gressisti moderati. Con tutta probabilità, fu proprio costui a intro­durre il giovane Francesco negli altri principali cenacoli letterari ro­mani, l’Accademia Esquilina e l’Accademia dell’Arcadia, nelle quali la presenza di Calai in quegli anni è ben attestata. Fondata a Roma nel 1690 per reagire agli eccessi del Barocco e ripristinare il gusto e la misura della poesia classicista in lingua “italiana”, l’Arcadia era diventata in breve un’istituzione a suo modo “nazionale”, nel sen­so che sul suo esempio erano sorte “colonie” in numerose città della Penisola. All’epoca di Calai, il massimo esponente dell’Arca­dia romana, Vincenzo Monti, segretario del principe Braschi One­sti, nipote di Pio VI, aveva come mecenate anche quel Sigismondo Chigi, altro esponente dell’aristocrazia riformista non alieno da frequentazioni massoniche, cui dedicò celebri endecasillabi sciolti. Chigi era cognato di Baldassarre Odescalchi: perciò ritengo pos­sibile che Calai, oltre a essere inserito nella stessa rete letteraria e politica del grande poeta romagnolo, lo abbia pure conosciuto personalmente.

Presento in questa sede uno dei frutti dell’attività letteraria roma­na di Francesco Calai, credo finora ignoto agli storici, emerso nel corso delle mie ricerche. Si tratta dell’ode Esci, o d’Olimpo figlia, scritta in occasione delle nozze, celebrate il 24 novembre 1796, fra Maria Maddalena Odescalchi, figlia di Baldassarre, e Luigi Bon­compagni Ludovisi, principe di Venosa. Questi, nobile romano con giurisdizioni feudali anche nel Regno di Napoli e in Toscana, di lì a pochi anni, con l’invasione francese, si vedrà privato del più impor­tante feudo di famiglia, il principato di Piombino, assegnato a Elisa Bonaparte e non più recuperato, neppure dopo la caduta di Napo­leone. Se interpreto correttamente i vv. 31-36, egli fu anche uomo di cultura (vedi il riferimento a Minerva), interessato in particolare all’ambito scientifico (Urania, musa dell’astronomia e qui, proba­bilmente, delle scienze in senso lato, lo incorona con la «delfica fronda», ossia la corona d’alloro).

L’ode fu pubblicata nel tomo XXII dell’Antologia romana, rivista che aveva tra i suoi collaboratori proprio Monti e portava avanti il progetto, ispirato ad un cattolicesimo illuminato, di aprire la cul­tura romana alla filosofia e alle scienze moderne, a supporto delle riforme di Pio VI.

Un’ode semplice ed equilibrata

L’ode, in sestine di settenari, è semplice ed equilibrata, pur nel tono encomiastico. Il poeta invoca la Notte affinché stenda la sua ombra pacificante sugli elementi della natura e le inquietudini umane e sia così propizia al talamo dei novelli sposi. In via del tut­to ipotetica, si può supporre che uno dei modelli di Calai Marioni sia stata la Notte d’amore di Francesco Cini, pubblicata a Firenze nel 1608 per le nozze di Cosimo II de’Medici con Maria Maddalena d’Austria, come farebbero pensare sia l’affinità tematica (e forse anche l’omonimia delle due spose), sia la somiglianza dell’apostro­fe iniziale: «Dalle cimmerie grotte/Scendi oh tacita Notte» (Cini); «Da le cimmerie grotte […] Scendi invocata, o Notte» (Calai). Tali versi, comunque, sono un topos letterario di lunga data che, ad esempio, riapparirà, in tutt’altro contesto, nel napoleonico Bardo della Selva Nera di Monti («Tacita uscìa dalle cimmerie grotte/La nemica del dì»). Calai attinge al vasto patrimonio d’immagini e di lessico, nonché al ricco repertorio mitologico, del classicismo po­etico custodito dall’Arcadia. Un altro esempio: il «partico strale» (v. 67), risalente al poeta tardolatino Claudiano, che ha ricorren­ze in classicisti e neoclassici come F.F. Frugoni, Metastasio, Mon­ti. Nonostante il suo carattere di poesia d’occasione, l’ode in certi passaggi lascia però trapelare l’inquietudine per la «Guerra che intorno avvampa/ E per l’ausonia valle [cioè la penisola italiana]/ Orme di morte stampa» (vv. 19-21), cioè per la discesa in Italia, in quel 1796, dell’armata di Napoleone contro gli eserciti della Prima coalizione; e, forse, anche il timore di una congiura (giacobina) nel­la stessa Roma (vv. 13-18).

D’altra parte, l’Arcadia era tutt’altro che un consesso armonioso ed etereo di dotti estranei alla politica (e alla storia); essa, già baluar­do di un conservatorismo non solo letterario, fu invece percorsa a fine Settecento da fermenti innovatori, culminati nell’adesione di alcuni suoi esponenti alla Repubblica romana, instaurata dai Fran­cesi nel 1798 con la deportazione del papa.

La frequentazione di circoli culturali riformisti, ma con il tempo sempre più in bilico tra riforme e rivoluzione, aiuta a chiarire il significato dell’itinerario politico di Francesco Calai, che, dopo il ri­torno in Umbria (senza peraltro recidere i legami con Roma), servì il regime napoleonico e si affiliò alla massoneria. Dopo la Restaura­zione, già nel 1818 fu “ripescato” dal governo di Pio VII. La Restau­razione, come si sa, fu assai moderata e quei notabili che, come Calai, pur avendo collaborato con i Francesi, per rango sociale, patrimonio familiare, cultura ed esperienza di vita risultavano es­senziali all’amministrazione delle città e delle province dello Stato, vennero cooptati nelle istituzioni pontificie. Personaggi, peraltro, in genere dal profilo politico moderato; lo stesso che ritroviamo, sostanzialmente, in Francesco Calai, consigliere comunale di Gual­do dal 1818 al 1845 e gonfaloniere nel 1846: amante del progres­so e delle riforme utili, nemico della sovversione sociale, come lo definì un suo contemporaneo. Un ideale di “libertà e ordine” che costituì il vero programma politico di una parte consistente delle élites cittadine dello Stato Pontificio, attraversando la stagione del riformismo settecentesco, l’età napoleonica, la Restaurazione, fino alla svolta risorgimentale (e ancora oltre).

  1. Esci, o d’Olimpo figlia,
    Da le cimmerie grotte,
    gli altri corsieri imbriglia,
    Scendi invocata, o Notte;
    Né il terror sieda auriga
    Su la bruna quadriga.
  2. Sia cheta la foresta,
    Il mar baci la sponda,
    Non guidi la tempesta
    Ad infuriar su l’onda
    Là da l’eolie vette
    I lampi, e le saette.
  3. Fa’ che nel muto speco
    Rimanga lo spavento,
    Né t’accompagni bieco
    L’orror di un tradimento,
    o la vigile cura
    Di temuta congiura.
  4. Guerra che intorno avvampa
    E per l’ausonia valle
    Orme di morte stampa,
    Libero al sonno il calle
    Lasci, ed il capo ignudo
    Adagi su lo scudo.
  5. Che quest’ombra tacente
    E’ sacra al biondo Amore;
    Vedrai, Notte ridente,
    Di Venosa il Signore
    Stringer al sen la bella
    Odescalchia Donzella.
  6. Ei di Minerva amico
    Ne la dircèa palestra
    Il cieco obblìo nemico
    A saettar s’addestra,
    E Urania lo circonda
    Con la delfica fronda.
  7. Ella la dea somiglia
    Che il terzo cerchio move
    Da le serene ciglia
    Aurea dolcezza piove;
    E le scherzan sul viso
    E le pronte grazie e il riso:
  8. Esci dunque, serena
    Notte, stellata il velo,
    La dolce calma mena
    Che teco apparve in cielo,
    Quando a Pelèo soggiacque
    L’azzurra dea dell’acque.
  9. E se vedrai da l’urne,
    Fosche nel guardo, e gravi
    Sorger le taciturne
    Famose Ombre de gli Avi,
    Tu mostra lor gl’ignoti
    Magnanimi Nipoti.
  10. Vieni, o Diva, già spunta
    Sul pallido orizzonte
    La stella d’Amatunta,
    Nero torreggia il monte,
    E ne l’equoree valli
    Il sol tuffa i cavalli.
  11. Vieni, e teco invocata
    Madre dell’ombre guida
    Di rose inghirlandata
    L’ora agli amanti fida,
    che scota in man d’Imene
    La face, e le catene.
  12. Come partico strale,
    Vola l’inno sonante;
    L’odi? Al batter dell’ale
    Treman le conscie piante,
    E a te dall’ime grotte
    Eco il ripete, o Notte.

Bibliografia

AMONI D., Gualdo Tadino e i suoi figli naturali e acquisiti. Diziona­rio biografico dei Gualdesi, Città di Castello, Petruzzi, 2005

CANCELLOTTI C., Roberto Calai Marioni vescovo, Gualdo Tadino, Biblioteca Capitolare, 1975

FRUTTINI M., La dominazione francese nell’Umbria di nord-est tra il 1798 e il 1814. Cronaca del Cantone di Gualdo Tadino e delle Comuni limitrofe, Perugia, Era Nuova, 2003

STORELLI G., Gualdo Tadino nell’età della Restaurazione. Status amministrativo, classe dirigente e vita pubblica (1814-1846), in “Memoria Storica”, n. 37, a. XXI, 2011, pp. 63-85

STORELLI G., La circolazione delle idee a Gualdo Tadino. Reti intel­lettuali, stampa, scuola, in BARTOLI LANGELI A.– SINI D. (a cura di), Dallo Stato della Chiesa al Regno d’Italia, Perugia, Deputazione di storia patria per l’Umbria, 2011, pp. 205-252.

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