di Jessica Giacometti –
L’arte sacra cristiana a partire dal XII secolo, trovando un notevole sviluppo tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo, vive un momento di diffusione delle immagini figurative volte a rappresentare Dio e la SS. Trinità.
L’assenza di questo soggetto nell’iconografia sacra antica e del basso Medioevo si spiega probabilmente con l’atteggiamento restio della Chiesa nei confronti di una rappresentazione naturalista della Persona della Trinità che, essendo invisibile, non poteva essere conosciuta. Per questo la Trinità veniva rappresentata con un ideogramma, ad esempio tre cerchi intersecantisi. In origine Dio Padre era simboleggiato da un occhio o da una mano reggente una corona, che sbucavano dietro una nube. Lo Spirito Santo era per lo più rappresentato dal simbolo della colomba o come un vecchio patriarca alle spalle del Cristo in Croce. Quest’ultima raffigurazione trovò ampia diffusione nell’Arte Rinascimentale e in epoca successiva. Una versione alternativa, meno comune, ma che coesiste con quella ora descritta, rappresenta la Trinità sotto forma di Vultus Trifrons. Con gusto tipicamente medievale, si pensò di rappresentare la Trinità come figura umana tricefala o trifronte, cioè costituita da un solo corpo e da tre teste, per indicare che in una sola sostanza si manifestano tre volti diversi. Questa rappresentazione è rintracciata in maniera cospicua in Umbria, culla del movimento francescano: l’Ordine dei Frati minori di san Francesco facilitò la diffusione di tale rappresentazione di Dio. Il poverello di Assisi, in effetti, fu un fervente devoto della SS. Trinità, tanto da venir soprannominato cultor trinitatis, avvalorando, così, l’ipotesi di una possibile connessione tra le immagini trinitarie e la devozione dell’ordine francescano verso Dio Trinità, evocata attraverso la raffigurazione del Vultus Trifrons.
Raffigurazione poi vietata da Papa Benedetto XIV nel 1745
Il Vultus Trifrons ebbe, però, anche una valenza negativa, quale emblema del demoniaco, per questo il suo utilizzo fu abbandonato già dal XVI secolo ed espressamente vietato da papa Benedetto XIV nel 1745. La valenza negativa di questa raffigurazione finì per prevalere su quella trinitaria, dopo che Dante nel XXXIV canto dell’Inferno descrisse Lucifero con tre teste, “oh quanto parve a me gran maraviglia, quand’io vidi tre facce a la sua testa!”. Tra le più singolari rappresentazioni del Vultus Trifrons in Umbria, ricordiamo l’affresco lungo la navata della Chiesa di Santa Maria Assunta a Vallo di Nera; l’affresco quattrocentesco posto sulla facciata antica della Basilica di San Pietro a Perugia, dove la figura ha sembianze ambigue e vagamente femminili; una seconda raffigurazione trinitaria perugina nella chiesetta di Sant’Agata, realizzata nel XV secolo da un autore ignoto; una raffigurazione nella lunetta della chiesa di San Agostino a Norcia; un suggestivo tricefalo presente in un polittico realizzato nel 1403 da Ottaviano Nelli per la chiesa di Sant’Agostino a Pietralunga ed ora custodito a Perugia nella Galleria nazionale dell’Umbria; un affresco nella Chiesa di Canoscio a Città di Castello e l’affresco all’interno dell’antica cappella nella Rocca Flea di Gualdo Tadino.
La rarità e particolarità dell’affresco gualdese.
L’affresco gualdese, scoperto nel 1995 a seguito degli interventi di restauro dell’edificio, evidenzia almeno tre strati di pittura impiegati per realizzare lo stesso soggetto in diverse dimensioni. I restauri hanno evidenziato vari strati di pittura sempre concernenti lo stesso soggetto, ciò a testimonianza che l’affresco iniziò a deteriorarsi già durante la fase di lavorazione, rendendo necessaria la sovrapposizione di altra stesura pittorica. Per la maestosità dell’impianto e gli effetti plastici, l’affresco può essere ricondotto all’ambiente eugubino della metà del XIV secolo o alla mano di un pittore perugino sicuramente influenzato da Pietro Lorenzetti.
Un unicum nel panorama artistico italiano che arricchisce, per rarità e particolarità, il patrimonio locale.
