La lapide dimenticata di Emilia Aliprandi Pieri (1856 – 1903)

di Daniele amoni –

A poca distanza dal mo­numento del cimitero di San Facondino, a destra della chiesa, scenden­do, l’attenzione del visitatore viene catturata dalla parete esterna di una cappellina fu­neraria, quella della famiglia Aliprandi. Lungo la parete, infatti, è visibile, benché sbiadita dall’umidità e dal tempo, un’iscrizione, uno dei rari epitaffi presenti nel nostro cimitero. È dedicata ad Emilia Aliprandi Pieri (1856-1903) figlia, sorella, moglie e ma­dre esemplare, artista drammatica eccel­lente, rimpianta da tutti perchè con tutti buona. Pace o spirito eletto. 1855-1903”.

Ma chi era questa donna, morta a soli 48 anni?

Una famiglia di attori

Della famiglia Aliprandi già si era occupato Daniele Amoni in una serie di articoli su L’E­co del Serrasanta, ma il Nuovo Serrasanta ha deciso di riproporre ancora una sintesi degli attuali studi su questa illustre famiglia che, venuta da lontano – dall’Istria – scel­se poi di vivere a Gualdo Tadino, di possedere una propria cappella fu­neraria presso il cimitero cittadino e di trascorrere il risposo eterno alle falde dell’Appennino. Non è del tutto fuori luogo, per quanto possa sembrare strano, l’accostamento fra la famiglia Aliprandi e Gualdo Tadi­no: “Aliprandi”, infat­ti, come “Gualdo”, è un nome di origine lombarda, anzi, pro­priamente longobar­da, derivando molto probabilmente da “Ildebrand”. Propria­mente, gli Aliprandi, di cui si hanno atte­stazioni documenta­rie nel milanese nel secolo XIII e, in par­ticolare, a Brescia e a Monza, si diffusero, poi, dalla Liguria fino al Friuli e alla Dalmazia, ma anche in alcu­ne zone del Centro e del Sud. Il capostipite degli Aliprandi “gualdesi” fu Giovanni, che nacque a Capodistria nel 1824 e dedicò gran parte della sua esistenza al teatro, come impresario. Non è ben chiaro il moti­vo per cui, a fine Ottocento, egli si trasferis­se proprio a Gualdo; molto probabilmente perché il Teatro Talia, ancora ben attivo, rappresentava ancora un valido punto di ri­ferimento per l’arte drammatica. Giovanni, del resto, aveva sposato la nobile perugina Alfonsina Dominici (Perugia 1836 – Gual­do Tadino 1895) la cui madre apparteneva nientemeno che alla dinastia dei Bourbon del Monte. Sta di fatto che, comunque, divenne direttore della Filodrammatica gualdese e nel 1901 organizzò al Talia la rappresentazione della commedia “L’o­norevole di Campo­darsego” di Libero Pilotto a beneficio del Patronato scola­stico. Ma non tutto andò per il verso giusto in quanto il Concerto cittadino, invitato a dare gratuitamente la propria di­sponibilità, rifiutò di partecipare. “I compa­gni Cantoni, Pierotti, coadiuvati gentilmen­te da Petrozzi, Panunzi, Santarelli, Angeli, Vecchiarelli e Tega, si presen­tarono spontaneamente per rallegrare la simpatica festa e furono fatti segno alla sim­patia del pubblico che li ap­plaudì vivamente”.

Non si sa se per incidenti di questo genere o per l’affer­marsi, sin dall’inizio del No­vecento del nuovo genere artistico della cinematogra­fia, ma negli ultimi anni della sua vita Giovanni si dedicò alla cinematografia.

Brava ma non celebre

Tutta la sua famiglia, comunque, seguì il suo esempio. Sua figlia, Emilia per l’ap­punto, nata a Torino nel 1856, ma trasferi­tasi con il padre a Gualdo Tadino, fu “attrice drammatica”. Non spiccava probabilmente né per prestanza fisica né per qualità di re­citazione, tanto che non divenne mai famo­sa come altre dive del tempo – prima fra tutte Eleonora Duse, di cui era due anni più grande – ma fu molto presente nella sua epoca, in diverse parti d’Italia. Dopo aver sposato nel 1882 l’attore brillante Vit­torio Pieri, recitò come prima attrice in al­cune compagnie teatrali come quel­la di Cesare Vitaliani, Angelo Vestri, Ernesto Rossi, Virginia Marini, ma costituì, poi, una propria compagnia teatrale ed interpretò ruoli non pro­priamente tradizionali, un po’ inno­vativi, tanto che non sempre riscosse il consenso del pubblico, allora mol­to conservatore. Il 15 febbraio 1889, infatti, Emilia impersonò Nora nella prima italiana di “Casa di Bambola” di Henrik Ibsen, trovando un’accoglienza mol­to tiepida del pubblico e della critica che giudicò la messa in scena “un buon lavoro, non privo di mende” e sottolineando “il viso arcigno” del pubblico al termine della commedia. Alcuni critici sottolinearono la buona prova della Aliprandi, giudicandola da sola capace di far rappresentare un co­pione “non rappresentabile”. Sta di fatto che di questa rappresentazione, che ebbe comunque due repliche, si perse memoria e, ad oggi, se si cerca il nome della prima interprete italiana di Nora in Casa di Bam­bola, esce fuori solo il nome dell’Eleono­ra Duse, che la portò in scena, però, solo due anni più tardi, nel 1891, ottenendo un successo personale che decretò anche il successo dell’opera di Ibsen. L’Aliprandi, infatti, fu “attrice intelligente e corretta” (Nando Leonelli, Gli attori, Milano, 1940), ma la Duse fu “femme fatale”, donna da prima pagina, soubrette e VIP dell’epoca, grazie anche alla scandalosa relazione con Gabriele D’Annunzio. Ed eclissò la pur brava Emilia, che morì prematuramente nel 1903, tanto che il padre le sopravvisse per 11 anni (morì, infatti, nel 1914) e ripo­sa, oggi, nel cimitero di Gualdo Tadino.

Il destino delle discendenti

Anche le due figlie di Emilia Aliprandi e Vit­torio Pieri, Alfonsina (Roma 1880 – Milano 1959) e Giuseppina (Napoli 1891 – Milano 1933), furono ambedue attrici. La prima sposò Ferdinando Ardan e dal 1928 al 1933 si stabilirà a Gualdo, prima di trasferirsi a Mi­lano, dove, al giorno d’oggi, non esistono più discendenti diretti della famiglia.

Alfonsina, invece, diventerà un’affermata attrice e doppiatrice attiva fin dall’epoca del cinema muto. Dopo le sue prime esperienze teatrali a Gualdo, al Talia, nel 1905, calcherà le scene di importanti teatri italiani parte­cipando a diversi spettacoli fra cui la prima della tragedia di Gabriele d’Annunzio “La nave” dell’11 gennaio 1908 che si rivelerà un grande successo. Sposò l’attore Ame­deo Chiantoni (Chieti 1871 – Roma 1965) diventando la prima attrice nella compagnia di prosa del marito. Dall’inizio degli anni trenta venne assunta dall’EIAR e successi­vamente dalla RAI, all’interno della Compa­gnia di Radio Roma. Negli anni Cinquanta entrò a far parte della Compagnia del Teatro delle Muse di Roma e fece anche qualche apparizione in televisione recitando in alcu­ne commedie. È stata la madre di Renato Chiantoni (Brescia 1906 – Roma 1979), at­tore, produttore e regista, che non ha avuto discendenti, mentre sono diversi quelli ori­ginatisi dai suoi fratellastri, nati dalla prima moglie di Amedeo Chiantoni, oggi residenti quasi tutti in provincia di Bergamo.

Sic transit gloria mundi…

Di fronte alla cappella Aliprandi del cimite­ro di San Facondino, oggi chiusa, si prova un senso di abbandono, quasi di sgomen­to. Per esorcizzarlo, ci piacerebbe almeno che l’epitaffio sbiadito di Emilia fosse oggi restaurato, in modo da restituire al per­sonaggio la visibilità che la sua bravura di attrice avrebbe dovuto attribuirle anche alla sua epoca ma che la dura concorrenza nel mondo dello spettacolo le alienò. E di questo si occuperà, nei prossimi tempi, la nostra Accademia dei Romiti. Ci sembra il minimo che si possa fare per questa donna.

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