di Pierluigi Gioia –
C’è stato un tempo, ahimé, in cui, a scuola, le botte si prendevano. I metodi correttivi di un tempo, infatti, prevedevano anche punizioni corporali, dolorose e spesso crudeli, tanto più perché inflitte a bambini spesso inermi da parte di chi, in teoria, avrebbe dovuto educarli. Come già vi ho raccontato una volta, i maestri delle scuole pubbliche dei Maya o degli Aztechi infliggevano ai loro pupilli punizioni di una crudeltà spaventosa: li costringevano, infatti, a respirare fumo di peperoncino piccante o li picchiavano con rami spinosi di saguaro (una sorta di cactus). Altro che stare… sulle spine prima di un’interrogazione!
Non scherzavano con le sferzate neppure gli antichi Greci e, soprattutto, i Romani. Ad esempio, nell’antica Roma, gli insegnanti delle scuole pubbliche, di fronte ad un alunno che non ascoltava o che chiacchierava, lo denudavano e lo pigliavano a sferzate, utilizzando una sorta di flagello, che produceva un dolore intensissimo e, a volte, anche delle lacerazioni profonde, come se veramente fosse un somaro. E un discipulus, benché frustato a sangue, non correva a casa a lamentarsi dalla mamma, perché sapeva bene che avrebbe preso altrettante bastonate, se non di più. Insomma, era un sistema condiviso di educazione – ovviamente sbagliato – che univa famiglie e corpo docente. Un sistema così sbagliato che non pochi intellettuali dell’epoca, primo fra tutti il docente di oratoria Quintiliano, di cui noi tutti abbiamo tradotto al liceo pagine eleganti ma spesso criptiche, ne prendevano fortemente le distanze, giudicando quella pratica “deforme“, cioè inumana, poiché “frangit animum“, opprime lo spirito. E non gli si poteva dar certo torto.
Caduto l’impero romano, i barbari, dapprima abolirono le scuole, più che le percosse; poi, convertitisi sia al cristianesimo sia all’importanza della cultura – vedi Carlo Magno – lasciarono che, nelle scuole monastiche, gli alunni continuassero a venire bastonati e bacchettati. Finalmente, dopo la grande lezione di Cesare Beccaria, che nel 1763 dedicò un’intera pubblicazione alla deprecazione sulla pena di morte, qualcuno si mosse a pietà degli alunni picchiati a scuola e la cattolicissima Polonia, nel 1783, poco prima di essere spartita fra Russia, Prussia ed Austria, fu il primo paese al mondo ad abolire per legge le percosse a scuola, che continuarono, specie nei paesi anglosassoni, fino a tempi recentissimi. Oggi, benché le bacchettate in classe siano purtroppo ancora legali in molti paesi del mondo, compresi 2/3 degli stati USA, tale pratica è stata giustamente superata e vietata, ad esempio nel nostro Paese.
Niente violenza a scuola, dunque. Tutti d’amore e d’accordo: con le buone si ottiene tutto…
Macché! Fossimo matti! Oggi è il contrario: non sono più gli alunni a prenderle, ma gli insegnanti e, talvolta, persino i presidi, specialmente giovani, come accaduto a Venezia.
E non mi riferisco solo al povero insegnante di Ferrara preso a pugni dal padrino di una sua alunna, perché l’aveva sgridata per non aver fatto i compiti; e non solo all’insegnante, di una cittadina dell’hinterland napoletano brutalizzato e quasi linciato dai genitori di un’intera classe, cui aveva messo una nota; o al prof foggiano preso a pugni dal padre di un alunno, che aveva semplicemente rimproverato, senza mettere neppure un’annotazione nel registro; no, mi riferisco soprattutto all’allucinante vicenda che riguarda una maestra nell’hinterland torinese. L’insegnante, infatti, è stata aggredita mentre faceva la spesa in un supermercato dalla mamma di una sua alunna, che le contestava i metodi d’insegnamento. Dopo averla ferita al viso con pugni e ceffoni, la mamma, nonostante l’intervento dei carabinieri, ha continuato a sostenere che era quella la giusta punizione per i metodi sbagliati della docente. Insomma, è qui la stortura: non mi piaci? Ed io ti picchio! Hai osato rimproverare mio figlio? E io ti bastono. Non mi piace come hai insegnato a mia figlia a fare le moltiplicazioni? E io ti prendo a ceffoni. Sembrava un metodo superato, quella della violenza, ma – evidentemente – molti pensano sia ancora attuale ed efficace. E non solo a scuola.
E che dire, infatti, a proposito di violenza, della grande lezione di temperanza giuntaci dal palco del Teatro Ariston di San Remo, dove un presunto guasto ad un ricevitore ha dato origine ad una lezione di giardinaggio di indubitabile efficacia, condotta con grande dimostrazione di prestanza fisica? E già: non va bene qualcosa? E allora, io sfascio tutto, come hanno fatto dei giovani pendolari su un treno della tratta Milano-Laveno, filmando tutto. E vai! Semaforo verde alla bestialità! Anzi, semaforo… blanco!
