C’era un due tempi nel bosco…

di Pierluigi Gioia –

I lettori mi perdoneranno se, per un altro mese ancora, tiro fuori un argomento in qualche modo connesso con la montagna, i pa­scoli e i sentieri di montagna… l’erba, insomma. Ma, dopo che avranno letto fino in fondo quest’ennesimo pamphlet, credo condi­videranno le mie perplessità, che sono anche di molti altri.

Comunque, per arrivare al discorso che ci interessa, è necessaria una premessa storica, che cercherò di sintetizzare il più possibile.

La parola “motore a scoppio” non va assolutamente d’accordo con “montagna” sin dai primordi dell’era dei mezzi a motore. Le prime disposizioni normative per vietare l’ingresso dei mezzi a motore nei pascoli, nei boschi e, in generale, degli ambienti montani, risalgo­no, in Italia, agli anni Settanta, quando furono istituite le regioni che, attualmente, pongono dei grossissimi limiti alla circolazione dei mezzi a motore nelle aree boschive e montane. Fra quelle più restrittive, nonostante sia una patria rinomata di aziende motoristi­che, c’è proprio l’Emilia Romagna che vieta “l’uso dei mezzi moto­rizzati nei boschi e in percorsi comunque fuori strada, nonché nelle piste e strade forestali, nelle strade poderali e interpoderali, nelle mulattiere e nei sentieri”. Un po’ tutte le regioni italiane, dal Friuli Venezia Giulia alla Sicilia, chi più strettamente chi un po’ meno, mo­strano una certa allergia al transito dei mezzi a motore nei pascoli, nei boschi e negli ambienti montani in genere. Anche l’Umbria, con la legge regionale 28/2001 impone il divieto di “circolazione e la so­sta dei veicoli a motore” e il transito di mezzi a motore “nei terreni sottoposti a vincoli per scopi idrogeologici e nei boschi”.

Addirittura, pure il Governo centrale volle introdurre, con un decre­to legge, nell’ottobre del 2021, il divieto di fuoristrada di ogni tipo in Italia, biciclette comprese, salvo, poi, fare un poco onorevole die­trofront quando le associazioni di fuoristrada, enduro, motocross e quant’altro levarono gli scudi e protestarono in maniera compatta.

E, dopo, non dici che la politica è tutto un (ri)mangia (ri)mangia?

Unica regione in controtendenza la Lombardia. Già, perché, nel 2014, la Giunta del Polo delle libertà di allora fece modificare la legge regionale 31/2008 “Testo unico delle leggi regionali in ma­teria di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale”, facendo abo­lire i commi 3 e 4 dell’articolo 59 sul divieto di transito per i mezzi motorizzati non autorizzati (motociclette, quad, etc…) su strade agro-silvo-pastorali, mulattiere e sentieri, nonché nei boschi e nei pascoli. Con le modifiche introdotte, oggi, in Lombardia, è possibile organizzare raduni di motociclisti in montagna e la regione fornisce ai comuni lombardi, che sono una marea, anche le somme neces­sarie al “ripristino dei luoghi”: cioè, tu mi rovini il pascolo e io, quasi per premio, ti do i soldi necessari per rimetterlo a posto. Tu sprechi, perché rovini l’ambiente, ed io raddoppio lo spreco finanziandoti la rimessa in opera.

Un discorso che farebbe andare in bestia qualunque contribuente.

Ma se la Lombardia è divenuta la patria della libertà di scorrazzare con mezzi a motori in montagna, Gualdo Tadino, che non a caso era stata definita, negli anni Sessanta, “la piccola Milano dell’Umbria”, è oggi il far west della mobilità a motore montana. La legge lo vie­terebbe, ma i possessori di mezzi a motore se ne infischiano. Non potete fare una passeggiata in montagna o persino in un sentiero nel bosco senza veder sbucare, nell’ordine, moto da cross, enduro, trial e, poi, gli immancabili quad a motore e persino elettrici. I pro­prietari di questi ultimi, tra l’altro, convinti di essere persino ecolo­gisti e pronti a scagliarsi contro quelli che li posseggono a motore. Una volta, ci mancò poco che una moto da cross, a folle velocità lungo un sentiero del Castagneto, facesse fuori me e due dei miei figli, sbucando all’improvviso da una curva. Altre volte le moto non bastano perché a lasciare tracce sui prati ci pensano i fuoristrada, categoria estremamente necessaria, a Gualdo Tadino, viste le enor­mi quantità di neve che, negli ultimi anni, cadono ogni inverno.

E non si tratta di gente che è costretta a farlo per motivi di lavo­ro; per mantenere, ad esempio, i boschi, per trasportare la legna a valle, per fare manutenzione delle aree montane. No, lo fanno per esclusivo svago e divertimento. E che bello svago, sì, solcare i nostri prati con le ruote a pneumatici sagomati! O interrompere il brusio del vento, il cinguettio degli uccelli e il frinire di grilli ed altri insetti con l’urlo lancinante di un bicilindrico 250 cc.

E, allora, non ci resta che lanciare un appello a tutti gli uomini di buona volontà muniti di mezzi a motore: ritrovate la retta via! Rin­savite! Smettete di fare come, un tempo, Attila che, dove passava, non faceva più crescere l’erba.

Solo così, anche a Gualdo, potremo finalmente raccontare le fiabe ai bambini come Dio comanda e dire: “C’era, un tempo, in un bo­sco fittissimo un castello” e non, come raccontiamo oggi “C’era un due tempi in un bosco fittissimo…” o, peggio ancora, “un quattro tempi…”.

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