Sanità ed oltre – Tanti esami ma poche visite mediche

di Marcello Paci –

Ieri, in farmacia, un’anziana signora chie­deva un appuntamento per un’ecografia addominale prescritta dal medico a segui­to dei disturbi addominali riferiti. L’addetta alla funzione ha smanettato sul computer a lungo e dopo ha dichiarato che si era libera­to un posto, in un tempo non biblico, pres­so l’ospedale di Amelia. Significava un viag­gio di settanta chilometri, ma la donna non aveva mezzi per andarci. Un cliente della farmacia le ha suggerito di rivolgersi ad una struttura privata lì vicino, dove l’avrebbero fatta in tempi brevissimi, forse nella stessa giornata. Sanità pubblica e privata, tornata oggi prepotentemente di attualità, dopo decenni di pubblico assoluto, figlio del di­ritto ad una sanità universalistica e gratuita per tutti, dalla culla alla tomba. Progressi­vamente non è stato più così e oggi anco­ra di più. Sono entrate in gioco valutazioni economiche, di bilanci, di sostenibilità, di efficienza e di efficacia, di disegni politici. Hanno significato chiusura di ospedali, e valorizzazione della sanità sul territorio. Di fatto il tutto si è risolto in una drammati­ca riduzione dei posti letto, (ne abbiamo visto le conseguenze nel corso dell’epidemia) e un’inadeguatezza delle strutture territoriali. Nel frattempo il pubblico ha inaugurato nel suo interno la dimensio­ne priva­tisti­ca con lo scellerato istituto dell’intramoenia. Due categorie di malati negli ospedali: quel­li che hanno pagato, prima del ricovero, la visita al professionista e quindi saranno curati da lui, spesso il più esperto e domi­nante, e quelli che si sono ricoverati per le vie normali. Accanto a questo, il proliferare di strutture private, per chi può permet­terselo. E qui ci lavorano medici affermati che all’inizio dividevano il loro tempo tra pubblico e privato, poi si sono dedicati solo al privato. Così gli ospedali si sono andati progressivamente sguarnendo, complici le scelte che i governi regionali e nazionale andavano compiendo. Sino alle cliniche ge­stite dai privati investite dell’istituto dell’ac­creditamento, per cui si offrono prestazioni pagate dalla sanità pubblica. Cosa questa che sembrerebbe virtuosa data l’impos­sibilità del pubblico di rispondere alla do­manda crescente. Virtuosa se non si pensa ai fini di guadagno che le cliniche necessa­riamente perseguono, e con ciò si crea un vulnus nella prestazione, una contamina­zione, estranea al concetto di una buona sanità. Alle cliniche il pubblico assegna un budget, scegliere se fare o no un intervento non strettamente necessario, è scelta non asettica, si potrebbe dire drogata da valuta­zioni improprie. La variabile economica fa la differenza. Un tempo in Ospedale quan­do non c’era di mezzo il denaro, si poneva un’indicazione chirurgica se necessaria e urgente, altrimenti c’era la valutazione cli­nica nel tempo, la terapia medica e alla fine l’intervento chirurgico. Secondo la massi­ma del prof. Castrini patologo chirur­go a Perugia e poi clinico chirurgo a Roma al posto del maestro Stefani­ni: “Il chirurgo è un bravo internista che alla fine ha anche il bisturi”. Oggi fare diagnosi di calcolosi della colecisti significa intervento subito, forse la preoccupazione del budget non è ininfluente. Nel complesso un bel guazzabuglio, dove la gente si confonde, si perde, con l’unica certezza che se si vuole curare, deve tirare fuori i soldi. Che poi non è sempre e neces­sariamente così. Se c’è un problema serio, l’ospedale è ancora il terminale gra­tuito, efficace e di solito efficiente. Ma intorno a questa nicchia c’è il guazzabuglio. E’ an­che che la medicina è diventata tecnologia, si prescrivono tanti, troppi esami, quando una visita clinica ben fatta li renderebbe inutili. Un esempio: si prescrive l’ecografia per la diagnosi di er­nia, o per un lipoma sottocutaneo. L’esame non aggiunge niente a quanto possono rile­vare i sensi del medico. Un altro esempio: le TAC di controllo nei malati oncologici in at­tesa di trattamento o nel follow-up. Mi sono trovato innumerevoli volte nei meeting set­timanali dove, esaminato il caso con esami di laboratorio, radiografici e tutto il resto, si rimandava l’inserimento nel protocol­lo della terapia ad un incontro successivo, nell’attesa si prescrivevano altri esami che non avrebbero aggiunto niente a quanto già visto e deciso. E’ che fare esami tanti, trop­pi, crea un giubbotto protettivo intorno al medico, che anche in quel modo si difende dalle contestazioni umorali, verbali, fisiche o giudiziarie nelle quali può incorrere nella sua professione. In questa società liquida, le persone hanno perso i punti di riferimen­to, glie li hanno sottratti le classi dirigenti, quelli che comandano, gli uomini di cultu­ra, quelli che decidono come deve essere il mondo, le cose che devono essere elimina­te e quelle da creare.

Da noi in Sanità hanno deciso di chiudere le strutture sanitarie del territorio e con­centrare tutto nei pochi grandi ospedali e in nuove strutture territoriali che ancora latitano. Basta ricordarsi la paralisi delle strutture durante il Covid, con la sospen­sione della normale attività ospedaliera, perché non c’erano più posti letto per rico­verare i malati. I tanti posti letto erano stati soppressi perché, dicevano, antieconomici. Il denaro così risparmiato è servito per co­struire le cattedrali della salute come il Sil­vestrini a Perugia, quasi una città dove ci si perde. E’ che in questa società liquida, dove tutto dovrebbe essere permeabile, hanno costruito percorsi labirintici, molossi di ce­mento e regole, che rendono il cammino accidentato, impossibile. Così nella malattia non hai una persona cui rivolgerti, hai un team cangiante, mutevole. Vi si alterna­no figure professionali di clinici, radiologi, endoscopisti, chirurgi, psicologi che ti vivi­sezionano, e alla fine, come in un proces­so di Kafka, proclamo una sentenza spesso asettica, fredda tanto più, quanto maggio­re è la fama degli specialisti in causa. E ti dicono tutta la verità soprattutto se infau­sta, come sembra bisogna fare in ossequio alla modernità, anche per chi non vorrebbe conoscerla, tutta la verità. Ma questi sono trogloditi, non hanno diritto di cittadinanza. Perché la società liquida che ha decretato la morte di Dio e della religione, ti dice, dopo averti rincoglionito con i beni di consumo, con le crociere sulle navi Costa e i San Remo di Fedez, e tutto il resto, che devi morire e che dopo non c’è niente. Dunque per tem­po fai pure testamento a favore delle ONG politicamente corrette.

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