di Pierluigi Gioia –
Si fa presto a mettere sul banco degli imputati Madre Natura e i fenomeni che costituiscono la meteorologia. Se ci si pensa bene, affermare che le manifestazioni naturali sono sempre più violente e devastanti – anche se la colpa di ciò sarebbe comunque dell’uomo – ci esime dalle responsabilità più immediate. Se, infatti, il clima cambia e cambia per colpa dell’uomo, non è comunque colpa immediata dell’uomo se avvengono dei disastri come quello che ha colpito, tanto per fare solo l’ultimo esempio, la città di Palermo, finita sott’acqua il 15 luglio scorso, a causa di un nubifragio che ha scaricato 125 mm di pioggia in poco più di tre ore.
In realtà, vanno subito precisate alcune cose. In primis, le cosiddette “bombe d’acqua” sono sempre esistite e la meteorologia le ha sempre definite “nubifragi”, mentre tale dicitura molto d’effetto è un’invenzione giornalistica di qualche anno fa. Non è che una “bomba d’acqua” sia un fenomeno particolare: è semplicemente un temporale che, come ci insegna la fisica, scarica a terra una quantità di pioggia notevole, con un rain rate (intensità di precipitazione) superiore a 30 mm/h.
Un normale temporale multicellulare dura un quarto d’ora; quindi, se l’intensità di precipitazione è pari a 30 mm/h, cadranno 7,5 mm. Ovviamente, l’intensità di un evento del genere è molto spesso superiore. Facciamo qualche esempio. Durante quest’estate, la stazione meteo di Palazzo Mancinelli, ha registrato intensità di precipitazione di 150 mm/h, con oltre 30 mm caduti in un quarto d’ora, che è il tempo medio in cui una cellula temporalesca nasce, raggiunge il suo culmine e poi si dissolve.
Nel passato, la stazione ha registrato rain rate anche più alti, con un massimo di oltre 300 mm/h nel 2012: si tratta di piogge davvero torrenziali, quasi di tipo “monsonico”, ma che, fortunatamente, hanno una durata limitata al canonico quarto d’ora.
In casi diversi, quando cioè si forma la cosiddetta “linea di groppo” o “squall line”, la linea temporalesca interessa una zona più ampia, come succede durante il passaggio di un fronte freddo, e i fenomeni possono avere un’intensità anche maggiore (localmente) e durare una mezz’ora, con accumuli anche superiori ai 50 mm.
Ma il vero nubifragio avviene quando si parla di temporali o celle temporalesche autorigeneranti; in questi casi, il temporale si autoalimenta grazie al contrasto netto fra due tipi di aria fortemente diversi: solitamente, questo avviene in zone costiere (aria calda e umida sopra il mare), con montagne prossime alla costa e un’irruzione fredda in atto. In questi casi, il fenomeno, oltre che essere violento, è anche stazionario, cioè continua a scaricare pioggia torrenziale, senza dissolversi, sullo stesso posto. Tali manifestazioni, purtroppo, sono sempre esistite ed hanno spesso coinvolto località di mare (Genova, Ancona, Palermo, la Lunigiana, la Garfagnana) con montagne o colline prossime alla linea di costa.
Quello che è successo a Palermo, vale a dire 125 mm in tre ore (rain rate medio 41 mm/h), era già accaduto nel 1790 (epoca in cui non credo che si potesse ancora parlare di effetto serra antropico). Ma nel 1790 non si verificò quello che è capitato al giorno d’oggi, perché la bellissima città di Palermo è stata sottoposta, nel Dopoguerra, ad una speculazione edilizia selvaggia che, specie fra gli anni Sessanta e Settanta, ne ha cementificato in maniera incontrollata ampie zone, anche quelle in declivio. Il cemento, che è impermeabile, impedisce l’assorbimento dell’acqua piovana, anzi ne aumenta la velocità di ruscellamento.
Facciamo un esempio più concreto, vicino a noi. Nella serata del 1° giugno 2004, anche Gualdo Tadino ebbe il suo nubifragio. La nostra non è una città costiera ma, per motivi orografici, vi si formò sopra una cella autorigenerante, che scaricò 92 mm di pioggia in tre ore, fra le 20 e le 23; poi, un’altra cella, meno potente, ne scaricò altri 34 due ore dopo. Una quantità impressionante d’acqua, identica a quella di Palermo, solo caduta in un tempo lievemente maggiore e con una piccola pausa. Eppure, grazie alla scarsa cementificazione del nostro territorio, alla natura calcarea e porosa dei terreni e alla presenza di boschi, non ci furono che un paio di smottamenti e solo qualche garage allagato. Solo i 280 mm di pioggia dell’inarrivabile 11 novembre 2013 (dovuti, però, a Stau) provocarono il disastro della Val di Fonno. Quindi, anche se tali fenomeni sono divenuti un po’ più violenti, il vero colpevole di tutto ciò è direttamente l’uomo, che cementifica, che costruisce sugli alvei dei fiumi, che disbosca, che non cura la montagna e l’irreggimentazione delle acque, che devia senza studi sufficienti il corso dei fiumi e violenta Madre Natura. E lo spopolamento della montagna e della campagna non fa che aumentare, in Italia, queste situazioni potenzialmente pericolose. Sono queste le vere bombe. Non quelle (fantomatiche) d’acqua!
