Onore a santa Madre Erba

di Pierluigi Gioia –

NNoi umani dobbiamo tutto all’erba. No, non è un’affer­mazione di un incannato che inneggia alla liberalizzazione della marijuana, bensì una considerazione di ordine antro­pologico, serissima. Noi uomini, infatti, non saremmo così, oggi, guardandoci allo specchio, se non fosse stato per l’erba delle sa­vane africane, dove avemmo origine come ominidi. Secondo una teoria scientifica, cui io do il massimo credito, fu proprio l’erba alta un metro e mezzo della savana a selezionare gli individui che, per qualche difetto genetico, erano meglio predisposti alla statu­ra eretta, bipede. Coloro, infatti, che meglio riuscivano a stare su due piedi si accorgevano prima di coloro che ancora camminava­no a quattro zampe dell’arrivo dei predatori, quali leoni, leopardi e grandi altri felini preistorici, per cui sfuggivano loro al contrario degli altri, che finivano dentro il loro stomaco. Per questo moti­vo, i bipedi furono selezionati dall’erba.

Se noi, dunque, oggi siamo gli unici mammiferi con due piedi, che ragionano con una sezione del cervello che altri utilizzano esclusivamente per gestire un’andatura su quattro zampe, lo dobbiamo proprio ad una specie vegetale apparentemente così comune ed insulsa come l’erba.

Dovremmo onorarla l’erba.

E, forse proprio per questo debito di gratitudine ideale, a Gualdo, fino a poco tempo fa, l’Erba era sacra. Non tanto perché ci sia anche oggi una piazza ad essa dedicata, quanto perché, in suo rispetto e come segno di gratitudine per aver generato la fisio­nomia umana, nel territorio del nostro comune, in quei luoghi di proprietà collettiva e pubblica, l’erba non veniva mai tagliata o accorciata. L’erba, insomma, era come le mucche in India: non si toccava. Ovviamente, solo per una forma rispetto quasi religioso.

Specialmente quella che cresceva altissima e rigogliosa come mai agli incroci, impedendo la visuale agli automobilisti; o quella che, all’interno delle rotonde alla francese – già difficili per conto pro­prio da interpretare – nascondeva la vista di eventuali automobili che l’avessero già impegnata; o quella che si allungava folta e altissima ai lati delle strade, statali, provinciali o comunali che fossero, celando persino il gard rail e la segnaletica. Erba che, poi, ingiallendo durante l’estate, esattamente come fa nelle savane africane d’inverno, diventava ottimo combustibile da incendia­re con mozziconi lanciati dai finestrini, frammenti incandescenti sfuggiti ai sistemi frenanti dei treni o semplicemente con gli ac­cendini e gli stoppini dei piromani e dei novelli Neroni, di cui, purtroppo, il mondo pullula.

Tutto questo fino a quando non si è diffusa la notizia che il Giro d’Italia, giunto alla sua centesima edizione, sarebbe passato per Gualdo Tadino, da sud a nord. L’avrebbe attraversata, tutta, in­somma, lungo l’arteria principale: la Flaminia. Ecco, quindi, che tutto è improvvisamente cambiato. Il rispetto sempre dovuto alla Santa Madre Erba, Creatrice dell’Uomo, ha lasciato il posto ad una furia erboclastica senza precedenti: frotte di operai comu­nali, provinciali, regionali, dell’Anas e decine di ruspe e mezzi ta­gliaerba di ogni forma e tipologia – alcune dall’aspetto vagamen­te inquietante – hanno fatto sparire ogni filo d’erba di lunghezza superiore ai 2,5 femtometri (2,5×10-15 metri) dai lati delle strade e nelle rotonde. Ovviamente, le operazioni, accompagnate an­che dal rifacimento della segnaletica orizzontale e al turaggio delle buche, si sono svolte preferibilmente di mattina, attorno alle 7,45, lungo tutta la Flaminia, da Rigali fino a Categge – non un kilometro di più, non un km di meno – in modo da non costi­tuire un intralcio al traffico in entrata alle scuole; oppure dalle 13 alle 13,30, in modo da non ostacolarne quello in uscita. Nessuno, giustamente, doveva accorgersi del loro grande sacrificio. Tutto scientificamente studiato per passare inosservati.

E poi, finita questa terribile ed inaudita fatica, il Giro d’Italia tran­sita. Già, ma della pulizia estrema e della rasatura dell’erba, po­chi si accorgono dalla diretta tv. Infatti, fra palleggiamenti di ca­nale fra Rai Sport e Rai 2, con tanto di corredo di sigle e carrellata di sponsor, spot pubblicitari su due canali e silenzio incompren­sibile dei telecronisti, con un’unica citazione, in ritardo, copiata pari pari da Wikipedia (ho controllato…), di Gualdo non si è detto e – ahimé – non si è visto praticamente niente.

Tanta fatica e tanto spiegamento di mezzi invano.

Lasciatela crescere, dunque, questa povera erba, ora! Non ven­detela e non fumatevela. Lasciatela crescere.

Per omnia saecula saeculorum. Fino al prossimo Giro. Amen.

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