di Pierluigi Gioia
Per par condicio non parleremo di politica in questo numero preelettorale. Del resto, noi, a Gualdo, abbiamo tre candidati alle elezioni e tutti sanno che il tre è un numero perfetto, in sé conchiuso. Parleremo invece di cose strane, buffe e ce n’è una recentissima, che è proprio legata a questo numero, il tre. Ve la racconto. E’ surreale, vi avverto, ma è la… nuda verità.
E’ circa da un anno che io faccio molto movimento per ordine del medico. E bazzico, in pratica, parchi e giardini e percorsi verdi di tutti i luoghi in cui capito. Una delle ultime volte in cui sono entrato in uno di questi, appena dopo pranzo, con un solleone estivo ante litteram (di aprile) a cuocermi a fuoco lento, ho notato un’auto bizzarra parcheggiata poco distante dall’ingresso. Ve la descrivo per farvi rivivere la mia sorpresa: una versione moderna di un vecchio furgone Volkswagen Caravan, tanto di moda negli anni Sessanta e Settanta. Ve li ricordate, no? Ma questo aveva qualcosa di particolare, perché era dipinto di rosa acceso, con tanto di fiori stilizzati equamente distribuiti sulla carrozzeria. Insomma, un furgone da figli dei fiori – così ho pensato. Era estero, ungherese per la precisione, con la H sia nella targa sia su un adesivo bianco che lo ribadiva a metà coda. L’unica auto straniera del parcheggio. Certo – ho pensato – i figli dei fiori mal si conciliano con Orbán, il leader ultranazionalista magiaro. Come cane e gatto. Come l’acqua santa e il diavolo.
Non so. Sta di fatto che, dopo una corsetta di qualche minuto, nel punto in cui il boschetto crea un’ampia radura, con un bel prato verde, ho visto una scena davvero surreale. Tre persone, come dicevo. Il più evidente, un uomo, credo poco più di mezz’età, alto minimo due metri, con una folta chioma bianca, ma muscoloso. Nudo. E in una posizione particolare di yoga che, guardando in internet, sono riuscito ad interpretare come Anjaneyasana, una sorta di contorsione con un piede ed un ginocchio a terra e le mani giunte dietro la nuca, come in preghiera. Accanto a lui una donna, pressappoco della stessa età, molto più bassa e minuta, con i capelli biondo platino, legati a coda di cavallo. Anche lei in costume adamitico, anzi… evitico. Entrambi, credo marito e moglie, con fisici piuttosto asciutti e atletici. Accanto a loro, una donna molto più giovane – la figlia? – bionda anche lei, ma di un colore più naturale, più alta della madre e leggermente meno nuda dei genitori, con almeno qualcosa color carne attorno ai fianchi. Entrambe le donne, in una posizione con mani e piedi a terra ma pancia in su, che ho interpretato come “Ardha Purvottanasana’ o qualcosa del genere. Io non mi intendo di yoga, l’avrete capito, e credo che il giorno in cui mi cimentassi con quest’arte antica rimedierei minimo una contrattura muscolare e chiedo, quindi, scusa ai suoi cultori se uso un linguaggio improprio. Non so neppure se i tre personaggi che ho visto fossero provenienti da quell’automobile ungherese: la mia è un’illazione. Lo ammetto. Ma lo ritengo oltremodo probabile. Al massimo, infatti, su quel prato, si trovava, steso in posizione tutt’altro che di yoga (a quattro di spade), profondamente addormentato sotto il sole, un tipo sulla settantina in mutande candide. Inerte. E più in là, su una panchina, una signora con un cane, che leggeva. La signora, ovviamente, non il cane.
Poiché, quando percorro le vie di questo parco, belle lunghe, di solito faccio quattro giri, sono ripassato quattro volte davanti alla curiosa seduta di ginnastica e meditazione. E devo dire di aver ammirato i tre cultori ungheresi di yoga in posizioni a metà strada fra acrobazia e potenza muscolare, tanto che nemmeno sfogliando un manuale sono riuscito a ritrovare esattamente quelle che ho visto quel giorno. La posizione più sorprendente e quasi statuaria – devo confessarlo – era quella del terzo giro, con l’uomo, dalle gambe incredibilmente muscolose e possenti, che sorreggeva di peso entrambe le snelle donne ognuna su un piede per la pancia, riuscendo anche a stendere le gambe verso l’alto, mentre entrambe eseguivano una Dhanurasana, trattenendosi le caviglie con le mani (che coraggio!), senza paura di smusarsi al primo cedimento muscolare del vegliardo. Da applausi! Al quarto giro, invece, li ho trovati in posizione Bhujangasana, a fissare verso il bordo del percorso, come suricati sul chi vive. Chi stavano osservando? L’ho capito qualche centinaio di metri più avanti, quando ho scorto una vettura della polizia locale che gironzolava per il parcheggio. A bordo due agenti, che mi sembravano inoffensive. In fondo, che potevano rimproverar loro? Di aver trasformato un percorso naturale in uno… naturista? un’oasi verde in una… rossa? Si sarebbero fatte due risate e via.
Ma non lo saprò mai, perché, al quinto passaggio, i tre non c’erano più. Erano andati via di tutta fretta. E già: non potevano sapere che erano solo vigili urbani, per nulla… orbáni.
