Il rapporto della Fondazione Gimbe sullo stato della sanità italiana

di Marcello Paci –

La Fondazione Gimbe ogni anno pubblica uno studio sullo stato della Sanità nel paese. L’ultimo report denuncia un progressivo depotenziamen­to della Sanità Pubblica che ha molte cause, tra le altre una ina­deguatezza della spesa sanitaria non in grado di soddisfare i biso­gni del sistema. L’inadeguatezza è nel confronto con gli altri paesi d’Europa, di percentuale rispet­to al Pil, se pur la spesa annuale in termini numerici aumenta. Inoltre si assiste ad un progressivo sviluppo della Sanità privata rispetto alla pubblica, alla differenza di prestazioni nelle diverse regioni, con luoghi di eccellenza rispetto a luoghi di inefficienza. Si lamenta una ca­renza di personale per mancate assunzioni del passato e per la fuga di professionisti dal pubblico al privato, quando non all’e­stero. Si denuncia una perdita di fiducia de­gli utenti, con l’emergere di contestazioni violente di cui la cronaca riporta numerosi episodi. A fronte di tutto questo e di altro per brevità omesso, si propongono punti qualificanti di manovra per affrontare e ri­solvere la situazione.

• La salute al centro di tutte le decisioni politiche

• Approccio one health, che significa la sa­lute di tutto: uomo, animali e ambiente

• Governance stato regioni

• Finanziamento pubblico da incrementare

• Livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio nazionale

• Organizzazione ed integrazione dei servizi sanitari

• Personale sanitario da incrementare, mo­tivare, retribuire

• Sprechi e inefficienze da combattere per recuperare risorse

• Rapporto pubblico-privato

• Sanità integrativa

• Ticket e detrazioni fiscali per evitare spre­chi e abbassare il consumo di farmaci

• Transizione digitale

• Informazione ai cittadini

• Ricerca sanitaria

Tutto bene e opportuno, ma richiamano alla mente i piani quinquennali del regime sovietico. Andarono bene finché rimase vivo lo spirito rivoluzionario. Quando questo si affievolì o venne meno del tutto, fallirono. Oppure ricordano le grida manzoniane, o la fiera delle buone intenzioni belle e virtuo­se, ma voci clamanti nel deserto. È che, al di là delle difficoltà economiche, del clima di guerra, e di tutte le altre criticità del no­stro tempo che non fanno sperare niente di buono circa la tenuta del nostro sistema di vita, manca lo spirito che da sempre gover­na la storia. Perché con buona pace della lettura in chiave economica e materialista della storia, è lo spirito che fa muovere i singoli e i popoli, fa loro superare ostacoli incredibili come fu per l’Islam dai deserti arabi alla conquista del mondo, con la co­struzione di un impero che rivaleggiava con il passato romano. In chiave minimalista é lo spirito che animò la riforma sanitaria degli anni settanta che fece dell’Italia la mi­gliore sanità del mondo. Diritto alla salute gratuito per tutti in quanto cittadini dello stato ita­liano che si faceva carico di ogni cosa. Poi arrivò l’aziendalizza­zione della sanità con la priorità economica gestita da politici ri­convertiti alle esigenze del mer­cato ad opera di colletti bianchi della Bocconi che cominciarono a perlustrare gli ospedali d’Ita­lia. Usavano termini e linguaggi sconosciuti, astrusi in particola­re per il personale sanitario che sapeva di anatomia, fisiologia, patologia, terapia. Tutto quello si dava per scontato, ma scontato non era e non è. E la nuova gestione ha portato a marginalizzare il ruolo dei sanitari con il ruolo preminente della politica che ha comportato in alcuni casi scelte dettate da pregiudizi ideologici, necessità elettorali, degenerazioni di tipo corruttivo. Un colpo decisivo ed esem­plificativo del discorso lo dette la riforma Bindi che, mossa da nobili intenti, introdusse l’istituto dell’INTRA-MOE­NIA. Portò alla di­mensione economi­co-finanziaria della professione, con la progressiva demar­cazione in due set­tori dell’ospedale pubblico, quello per i paganti e quello per i poveri, con tutto il corredo di attese e qualità delle prestazioni che comportò.

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