Chi di motore ferisce…

di Pierluigi Gioia

Credo fermamente l’uomo sia un essere per natura buono e gentile. E la donna, eccezioni a parte, lo è ancora di più. E non perché lo dica di Beatrice Dante Alighieri in Tanto gentile e tanto onesta pare. E’ una constatazione che ho sempre fatto au­tonomamente: la gente è contenta di essere gentile, di fare piace­re piccoli e grandi al prossimo e, quando i ritmi della vita moderna ci obbligano a tagliare corto e a non seguire più questa naturale tendenza all’altruismo e alla generosità, quasi ci dispiace di dover tagliar corto e lasciare qualcuno ammusato, di non poter cedere il posto alla simpatica e chiacchierona signora alla cassa del su­permercato o di essere troppo fiscali nei confronti di chi, senza malizia, ha voluto una volta non rispettare la fila all’ingresso del Museo. Sì, lo confermo: l’uomo è per natura bonario. E la donna anche di più.

Ma prendete un uomo o una donna, di qualsiasi età o estrazione sociale, e persino cultura, e ponetelo o ponetela dentro un qual­sivoglia veicolo a motore. Ebbene: si trasformerà subito in un es­sere altamente malvagio, crudele, sadico, votato unicamente alla propria sopravvivenza a scapito di quella altrui. Credetemi: io ho visto tali e tanto grandi trasformazioni di questo genere, e in tempi così rapidi, che le Metamorfosi di Ovidio o la mutazione notturna del kafkiano Gregor Samsa in immondo insetto, al confronto, mi paiono favolette per infanti. Io stesso – lo confesso – vorrei che ogni auto fosse dotata di un disintegratore laser di serie, tipo Star Trek, come fosse l’ABS o i fari abbaglianti in una normale utilitaria. Uno ti taglia la strada? Zak… disintegrato. Uno nemmeno ti vede dentro la rotatoria e ti viene quasi addosso? Zak… disintegrato! Giustizia è fatta.

L’ultima volta l’ho pensato sulla Perugia – Ancona, nei pressi del famoso autovelox di Valfabbrica, dove si assiste al più bell’esem­pio di virtù pubblica: tutti transitano esattamente a 110 km/h di fronte all’odiata macchina fotografica, tanto che quasi si avrebbe l’impressione che l’Italia potrebbe essere davvero un paese miglio­re, se solo ci fosse un autovelox ogni 50 metri.

Ma poi, ahimé, arriva la classica Fiat Panda verde fluo, modello III sec. a.C. – quella con cui, probabilmente, Annibale valicò le Alpi – guidata dal classico uomo di media statura, munito di cappello, che, dopo averti sorpassato a 111 km/h, emettendo una fuma­rea azzurrognola densa di carburante incombusto e olio appena acquistato al supermercato, ed averti quasi tagliato la strada per rientrare in corsia, non appena scorge il segnale che avvisa dell’au­tovelox, ritenendo che esso sanzioni ogni velocità superiore ai 50 km/h, inchioda e transita davanti ad esso a 40 km/h, in piena su­perstrada.

Mi è capitato la settimana scorsa: per evitare il tamponamento, ho dovuto effettuare un sorpasso d’emergenza e fortuna che non sopraggiungesse nessuno. Ora, tanto per farvi capire quanto il tro­varsi a bordo di un veicolo a motore possa trasformare radical­mente un essere umano, immaginate quello che ho detto – anzi, urlato – a quello che, probabilmente, era un simpatico vecchietto col berretto. Arrossisco al solo pensiero di quante e quanto gran­di maledizioni io abbia potuto scaricare in meno di dieci secondi su quel conducente e i suoi discendenti, fino alle successive sette generazioni.

E, a volte, di questa violenza verbale, ma persino fisica, sono sta­to anche vittima. Non più tardi di mezz’ora fa, prima di met­termi a scrivere questo pezzo, mentre mi trovavo alla rotatoria centrale di Gualdo Tadino – quella con il famoso olivo – lungo la Flaminia, poiché si era formato un ingorgo mostruoso per non so quale motivo, notando che la sede stradale era completamente occupata, non ho impegnato la rotatoria e mi sono fermato alla linea di arresto, sulla sinistra della corsia. Ma subito uno, dietro di me, suonando insistentemente e facendo gesti, mi ha fatto capire che voleva girare a destra e che non ci entrava. Visto che i clacson si sono moltiplicati, ho deciso di entrare nella rotatoria, mentre quelli che mi stavano dietro mi sono passati tutti a destra, chi più chi meno mandandomi a quel paese con gesti molto eloquenti. Ma, così facendo, mi sono messo di traverso davanti ad un camion, fermo all’interno della sede stradale. E, visto che chi stava davan­ti a me e alla mia destra non agevolava la mia sterzata ed, anzi, uno ha pure aperto il finestrino urlando “Ma che fai, imbecille?”, il camionista ha cominciato anche lui a suonare; poi, ha anche lui aperto il finestrino e ha iniziato ad urlarmi contro, con un accento esotico, le peggiori contumelie. A bordo, con me, c’era mia figlia e, per non esporla a simile turpiloquio, ho cominciato a fare os­servazioni a voce alta sul traffico di Gualdo che è ormai diventato peggio di quello di New York e, non appena mi si è aperto dinanzi un montaliano “varco”, sono svicolato via, mettendo persino due ruote sul marciapiedi della rotatoria, pur di andarmene verso via XXIV Maggio.

Un toponimo quantomai azzeccato per una situazione del genere.

Credetemi: dentro un veicolo a motore, qualunque esso sia, si di­viene aguzzini. E non so perché. È il motore che peggiora l’uo­mo: a combustione o elettrico che sia. Credo fermamente che anche fra 500 anni, quando andremo al lavoro su veicoli volanti a guida automatica, per il solo fatto di essere condotti da un moto­re – forse ad antimateria – vorremmo tutti impalare il conducente davanti, come novelli Vlad di Transilvania.

E che dire, poi, di quei simpaticoni che avrebbero voluto liberariz­zare l’uso dei veicoli a motore all’interno dei boschi e dei territori montani umbri? Ci avevo scritto un pezzo – se ricordate – in cui rac­contavo che ormai non si dice più “c’era un tempo nel bosco” ma “c’era un due tempi (o quattro tempi) nel bosco”. Volevano anche liberalizzare la caccia! Altro che la “doppietta” delle vecchie Fiat 500: avrebbero voluto “doppiette” ovunque. Be’, l’elettorato non ha gradito e quel partito è praticamente scomparso dalle urne del “Cuore verde” d’Italia. Il loro errore è stato confidare nei “motori”, che peggiorano l’uomo. E, così facendo, sono rimasti… a piedi.

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