di Pierluigi Gioia
Non c’è pace all’ombra del Serrasanta. Sì, lo so: sembra un inizio un po’ banale per un’altra puntata di questa rubrica. A dire il vero, ci ho pensato molto su come far iniziare questo mio breve scritto, ma delle due precedenti versioni una somigliava troppo all’inizio del Qoelet (“Vanità delle vanità, tutto è vanità…” avete presente, no?) ed un’altra sembrava un remake del celeberrimo incipit dei Promessi Sposi (“Quel ramo del Lago di Como…” chi non se lo ricorda?). Al termine di una lunga confabulazione con me stesso, dunque, ho optato per questa nuova versione.
Non c’è pace, dunque, all’ombra del Serrasanta.
Dovremmo essere una tranquilla città di provincia, in cui la natura incontaminata e la profondissima quiete – grazie, Giacomo, per il suggerimento… – elevano ai massimi livelli la qualità della vita. Eppure, non è così: dal centro alle frazioni ci sono proteste per la confusione, i rumori molesti, gli schiamazzi notturni che rendono alquanto difficile la vita ai nostri timpani, notte e giorno, ma soprattutto notte. Altro che “lieto romore“, tanto per dirla ancora con il recanatese.
Cominciamo dal centro storico, dove giungono lamentele sull’eccessivo volume della musica che si diffonde soprattutto da piazza Mazzini e riecheggia per le amene vie del borgo antico fino alle prime ore del mattino. Immaginate la scena: uno va a letto, accaldato, ed apre la finestra, sperando di assaporare la brezza lieve e rigenerante della notte, ma si ritrova la stanza piena di un baccano assordante. E dove li manderebbe, in cuor suo, quei provetti musicisti, questa povera anima accaldata e madida di sudore, angosciata perché deve alzarsi quattro ore dopo per andare al lavoro e non può dormire? A Castrocaro oppure a San Remo? No, semplicemente a quel paese.
Altre lamentele giungono dalle frazioni, dove l’impasto uditivo che si ode la notte non ha nulla da invidiare a quello che si ascolta in centro. Dalla finestra aperta (ovviamente per il gran caldo…), s’odono, innanzitutto rumori naturali: il rilassante canto dei grilli, il monotono chiù degli assioli – di pascoliana memoria – e lo squittio delle civette. Ma, poi, tutto ad un tratto, inizia il concerto in re(x) bemolle maggiore per abbaio ed orchestra canina. Al tema proposto dal maremmano, risponde la ripresa del pastore tedesco (anche Johann Sebastian Bach lo era, in fondo…); ma poi, in coro, il setter, il bracco, il pointer e il segugio intonano le variazioni e, infine, il Fox Terrier latra la sequenza, cui rispondono tutti per il fugato finale. Che sinfonia!
Ora, che i cani abbaino è ovvio, com’è altrettanto ovvio che sia il cane il migliore amico dell’uomo. Ma allora, perché l’uomo non è altrettanto amico dei cani da tenerseli in casa di notte con sé? Perché farli restare – povere bestie! – al buio, spesso sotto la pioggia, al freddo e al gelo e non farli dormire comodamente in casa, dove non abbaierebbero tutta la notte come fanno quando sono costretti a restarsene all’esterno? Chi è il vero animale dei due?
Ma non basta. Nossignori: non basta! Il venerdì, il sabato e la domenica, a notte fonda, giungono da lungi echi di musica da discoteca: ti affacci e sembra che provengano non da una direzione precisa ma da ogni luogo. Qualche bar? Qualche locale notturno? Qualche festa paesana? Zum zum zum zum…
Ma, poi, alle quattro, la musica da ballo cessa e torna il silenzio della notte, fra rari abbai di cani isolati. Si dorme? No, alle cinque in punto, che è ancora notte ad agosto, colpo di scena: s’ode un nuovo ritmo, un martellare insistente (Ta ta ta ta…) come di mitraglia. È il martello pneumatico della cava di Vaccara! Questa sì che è musica che… spacca! Chi potrebbe mai restare addormentato al suo ritmo? Ta ta ta ta…
Non basta. Alle sei in punto, cominciano i rumori di potatura, rasatura e taglio: dalle siepi, poco leopardiane, ai prati rinsecchiti dalla canicola, è tutto un viavai di decespugliatori, trattoretti, falciatrici, tagliasiepi e, ad agosto, dopo le trebbiatrici di luglio, anche dei trattori e degli aratri. Insomma: nelle frazioni, è impossibile dormire.
Ma non è tutto.
Oltre ad essere la città dei rumori, della musica da ballo, Gualdo sta diventando, anno dopo anno, la città dello sballo. Sì, perché, mentre in campagna si taglia l’erba, in periferia, oltre a tagliarla, l’erba la si fuma e la si spaccia. Sì, lo so che anche la cocaina si taglia, ma, negli ultimi tempi, oltre alla polvere bianca, non passa anno che non avvenga qualche maxi sequestro di hashish e marijuana, come quello avvenuto qualche tempo fa, grazie ai Carabinieri, che hanno arrestato un ventenne con ben sette chilogrammi di roba in macchina. (“Ma era per uso personale! L’ho presa all’ingrosso!”).
Ora, io ci ho scherzato anche un’altra volta sul fatto che Gualdo Tadino abbia coltivazioni di canapa nei suoi dintorni o che possieda, fra le piazze principali del centro storico, piazza dell’Erba o che ci sia gente strana, che coltiva canapa indiana nel giardino e che fa l’indiano quando i Carabinieri glielo fanno notare (“Ma non era una pianta d’acero?”) o che, addirittura, detiene bombe artigianali in casa. Gente, quindi, o che si è fumata una canna o che si è fumata il cervello. Per carità: per fortuna c’è la Benemerita a mantenere l’ordine pubblico! La situazione, però, evolve in maniera preoccupante anche a livello internazionale, non solo a Gualdo. Il presidente Trump, qualche tempo fa, ha proposto di mettere lo zucchero di canna dentro la Coca Cola. Avete capito? E poi, pensate all’Uruguay, che ha reso la produzione e il commercio di marijuana addirittura un monopolio di stato: “Non (b)Ugarte! Va’ nella Valverde, piglia una Rochet, Cavani una pianta e fumatela!”; e al Lussemburgo, che ne ha legalizzati la coltivazione e l’uso domestico. Immaginate la scena: “Caro, hai annaffiato… il giardino?” “No, l’ho fumato!”. Oppure: “Mamma, mamma: che facciamo, stasera?” “Ci facciamo, ragazzi!”. È inutile che diciate loro che è una roba seria o, meglio ancora, una roba da pazzi. Loro vi risponderanno solamente che è roba… buona!
